Italia! Il più bel paese del mondo

Discussion in 'Sezione Italiana' started by Air-Base, Apr 3, 2017.

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  1. Air-Base

    Air-Base Guest

    ;)
    yes, very funny....
    Sorry i thought that you was english but the sense is the same ....
    Tomorrow I will try to write you privately even if I do not know how to do it
    thank you
    embriaco

    look here:


    https://board-en.skyrama.com//members/air-base.9810/

    scrolls
    to Informations

    :)

    Cheers, Air-Base
     
    Last edited: Apr 30, 2017
  2. embriaco

    embriaco User

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    Io credo nel popolo italiano. È un popolo generoso, laborioso, non chiede che lavoro, una casa e di poter curare la salute dei suoi cari. Non chiede quindi il paradiso in terra. Chiede quello che dovrebbe avere ogni popolo.
    (Sandro Pertini, Messaggio di fine anno agli Italiani, 1981)

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    Last edited: May 2, 2017
  3. miki1570

    miki1570 User

    Controllori della flotta italiana che hanno superato il livello nel mese di aprile 2017

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    Tutti i giocatori di skyrama possono far parte della flotta italiana anche se sono di nazionalità diverse
    Il nostro cuore è grande abbastanza per ospitarvi tutti.

    All skyrama players can be part of the Italian fleet, even if they are of different nationalities.
    Our heart is big enough to accommodate you all.
     
    Last edited by moderator: May 2, 2017
  4. embriaco

    embriaco User

    ....
    Tutto tace,
    eppur tutto al cor mi parla...
    questa pace
    fuor di qui, dove trovarla?
    Tu sei bella,
    o stagion primaverile!
    Rinnovella
    fiori e amor il dolce aprile!
    .
    Mascagni, Amico Friz
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    ...
    Testo su Lorenzo De Medici

    "Trionfo di Bacco e Arianna" di Lorenzo de' Medici: riassunto e commento


    Oltre alla Nencia da Barberino, un altro componimento popolareggiante di Lorenzo de’ Medici è il Trionfo di Bacco e Arianna, detta anche Canzona di Bacco, che fa parte dei Canti carnascialeschi. Questi canti vengono composti in occasione di feste popolari, come il carnevale, e vengono pensati per essere intonati nelle processioni carnevalesche dei carri dalle compagnie di attori e musici mascherati.
    La Canzona di Bacco è forse il più noto canto carnascialesco a noi giunto ed era destinato ad essere cantanto durante un corteo mitologico trionfale, dedicato al dio del vino, Bacco, accompagnato dalla sua sposa, Arianna. Metricamente, si tratta di una ballata di ottonari. Il coro descrive appunto il corteo, presentando i diversi personaggi che lo compongono. Le descrizioni sono intervallate dal ritornello (o ripresa): “chi vuol essere lieto, sia: | di doman non c’è certezza”. Il tema centrale, espresso fin dai primi versi e dalla ripresa ("Quant’è bella giovinezza, | che si fugge tuttavia!”), è la giovinezza gioiosa, ma effimera, in quanto solo di passaggio. Il poeta invita quindi a godere di questi momenti lieti, dal momento che passeranno rapidamente e non si possono conoscere gli avvenimenti futuri. La tematica del trascorrere del tempo e delle gioie passeggere della vita è tipica della tradizione classica - si consideri, per esempio, l'ode 1.1 di Orazio con il celeberrimo verso “carpe diem quam minimum credula postero”.
    L’originalità del testo del Magnifico è la vivacità popolare con cui riesce ad esprimere questo amaro concetto. Tutto il componimento è caratterizzato da una forza gioiosa, velata pacatamente da un sentimento di malinconia, dettato dall’incertezza del domani e dal fuggire del tempo. Solo la festa e la gioia dell’amore e dell’ebbrezza permettono di dimenticare questi tristi aspetti della vita:
    Donne e giovinetti amanti,
    viva Bacco e viva Amore!
    Ciascun suoni, balli e canti!
    Arda di dolcezza il core!
    Non fatica, non dolore!​
    La conclusione tuttavia lascia emergere l’amara realtà di un destino ignoto.
    Quant’è bella giovinezza,
    che si fugge tuttavia!
    chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.
    Quest’è Bacco e Arïanna,
    belli, e l’un dell’altro ardenti:
    perché ’l tempo fugge e inganna,
    sempre insieme stan contenti.
    Queste ninfe ed altre genti
    sono allegre tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.
    Questi lieti satiretti,
    delle ninfe innamorati,
    per caverne e per boschetti
    han lor posto cento agguati;
    or da Bacco riscaldati
    ballon, salton tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia
    di doman non c’è certezza.
    Queste ninfe anche hanno caro
    da lor essere ingannate:
    non può fare a Amor riparo
    se non gente rozze e ingrate:
    ora, insieme mescolate,
    suonon, canton tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.
    Questa soma, che vien drieto
    sopra l’asino, è Sileno:
    così vecchio, è ebbro e lieto,
    già di carne e d’anni pieno;
    se non può star ritto, almeno
    ride e gode tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.
    Mida vien drieto a costoro:
    ciò che tocca oro diventa.
    E che giova aver tesoro,
    s’altri poi non si contenta?
    Che dolcezza vuoi che senta
    chi ha sete tuttavia?
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.
    Ciascun apra ben gli orecchi,
    di doman nessun si paschi;
    oggi siam, giovani e vecchi,
    lieti ognun, femmine e maschi;
    ogni tristo pensier caschi:
    facciam festa tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.
    Donne e giovinetti amanti,
    viva Bacco e viva Amore!
    Ciascun suoni, balli e canti!
    Arda di dolcezza il core!
    Non fatica, non dolore!
    Ciò c’ha a esser, convien sia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.
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    «La differenza tra le persone sta solo nel loro avere maggiore o minore accesso alla conoscenza» (Lev Tolstoi )
    Sabato 29 aprile le autorità turche hanno bloccato l'accesso a tutte le versioni linguistiche di Wikipedia, ledendo il diritto di milioni di persone di accedere a informazioni storiche, culturali e scientifiche neutrali e munite di fonti verificabili.
    La comunità di lingua italiana esprime solidarietà alla popolazione turca e alla comunità dei wikipediani turchi e chiede il ripristino del libero accesso all'enciclopedia.
    Firma anche tu l'appello dei Wikipediani e diffondi la notizia in Rete.
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    Il Cinque Maggio

    Ei fu. Siccome immobile,
    dato il mortal sospiro,
    stette la spoglia immemore
    orba di tanto spiro,
    così percossa, attonita
    la terra al nunzio sta,
    muta pensando all'ultima
    ora dell'uom fatale;
    né sa quando una simile
    orma di piè mortale
    la sua cruenta polvere
    a calpestar verrà.
    Lui folgorante in solio
    vide il mio genio e tacque;
    quando, con vece assidua,
    cadde, risorse e giacque,
    di mille voci al sònito
    mista la sua non ha:
    vergin di servo encomio
    e di codardo oltraggio,
    sorge or commosso al sùbito
    sparir di tanto raggio;
    e scioglie all'urna un cantico
    che forse non morrà.
    Dall'Alpi alle Piramidi,
    dal Manzanarre al Reno,
    di quel securo il fulmine
    tenea dietro al baleno;
    scoppiò da Scilla al Tanai,
    dall'uno all'altro mar.
    Fu vera gloria? Ai posteri
    l'ardua sentenza: nui
    chiniam la fronte al Massimo
    Fattor, che volle in lui
    del creator suo spirito
    più vasta orma stampar.
    La procellosa e trepida
    gioia d'un gran disegno,
    l'ansia d'un cor che indocile
    serve, pensando al regno;
    e il giunge, e tiene un premio
    ch'era follia sperar;
    tutto ei provò: la gloria
    maggior dopo il periglio,
    la fuga e la vittoria,
    la reggia e il tristo esiglio;
    due volte nella polvere,
    due volte sull'altar.
    Ei si nomò: due secoli,
    l'un contro l'altro armato,
    sommessi a lui si volsero,
    come aspettando il fato;
    ei fè silenzio, ed arbitro
    s'assise in mezzo a lor.
    E sparve, e i dì nell'ozio
    chiuse in sì breve sponda,
    segno d'immensa invidia
    e di pietà profonda,
    d'inestinguibil odio
    e d'indomato amor.
    Come sul capo al naufrago
    l'onda s'avvolve e pesa,
    l'onda su cui del misero,
    alta pur dianzi e tesa,
    scorrea la vista a scernere
    prode remote invan;
    tal su quell'alma il cumulo
    delle memorie scese.
    Oh quante volte ai posteri
    narrar se stesso imprese,
    e sull'eterne pagine
    cadde la stanca man!
    Oh quante volte, al tacito
    morir d'un giorno inerte,
    chinati i rai fulminei,
    le braccia al sen conserte,
    stette, e dei dì che furono
    l'assalse il sovvenir!
    E ripensò le mobili
    tende, e i percossi valli,
    e il lampo dè manipoli,
    e l'onda dei cavalli,
    e il concitato imperio
    e il celere ubbidir.
    Ahi! Forse a tanto strazio
    cadde lo spirto anelo,
    e disperò; ma valida
    venne una man dal cielo,
    e in più spirabil aere
    pietosa il trasportò;
    e l'avviò, pei floridi
    sentier della speranza,
    ai campi eterni, al premio
    che i desideri avanza,
    dov'è silenzio e tenebre
    la gloria che passò.
    Bella Immortal! Benefica
    Fede ai trionfi avvezza!
    Scrivi ancor questo, allegrati;
    ché più superba altezza
    al disonor del Gòlgota
    giammai non si chinò.
    Tu dalle stanche ceneri
    sperdi ogni ria parola:
    il Dio che atterra e suscita,
    che affanna e che consola,
    sulla deserta coltrice
    accanto a lui posò.​
    Alessandro Manzoni
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    Last edited: May 6, 2017
  5. miki1570

    miki1570 User

    Gli ottantenni della flotta italiana

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    Last edited: May 6, 2017
  6. Air-Base

    Air-Base Guest

    Do you want my datas also?

    ID: 10881368 Name: chroncho LV: 94 Country: Germany/Germany

    Greetings,
    Air-Base
     
  7. miki1570

    miki1570 User

    Hi Chroncho, you and I are already friends for 4 years, but if you want to be part of the Italian fleet, I would be very honored.

    Our first rule is to help the fleet players with the lowest level, the ones they most need.



    Ciao Chroncho, tu ed io siamo già amici da 4 anni, ma se vuoi far parte della flotta italiana ne sarei molto onorato.


    La nostra prima regola e quella di aiutare i giocatori della flotta con il livello più basso, quelli che hanno più bisogno.

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  8. embriaco

    embriaco User

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    Fiabe Classiche - C.Perrault: Barbablu

    (traduzione di Carlo Collodi da "I racconti delle fate")
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    "Les Contes de ma mère l'Oye"

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    C'era una volta un uomo, il quale aveva palazzi e ville principesche, e piatterie d'oro e d'argento, e mobilia di lusso ricamata, e carrozze tutte dorate di dentro e di fuori. Ma quest'uomo, per sua disgrazia, aveva la barba blu: e questa cosa lo faceva così brutto e spaventoso, che non c'era donna, ragazza o maritata, che soltanto a vederlo, non fuggisse a gambe dalla paura. Fra le sue vicinanti, c'era una gran dama, la quale aveva due figlie, due occhi di sole. Egli ne chiese una in moglie, lasciando alla madre la scelta di quella delle due che avesse voluto dargli: ma le ragazze non volevano saperne nulla: e se lo palleggiavano dall'una all'altra, non trovando il verso di risolversi a sposare un uomo, che aveva la barba blu. La cosa poi che più di tutto faceva loro ribrezzo era quella, che quest'uomo aveva sposato diverse donne e di queste non s'era mai potuto sapere che cosa fosse accaduto. Fatto sta che Barbablu, tanto per entrare in relazione, le menò, insieme alla madre e a tre o quattro delle loro amiche e in compagnia di alcuni giovinotti del vicinato, in una sua villa, dove si trattennero otto giorni interi. E lì, fu tutto un metter su passeggiate, partite di caccia e di pesca, balli, festini, merende: nessuno trovò il tempo per chiudere un occhio, perché passavano le nottate a farsi fra loro delle celie: insomma, le cose presero una così buona piega, che la figlia minore finì col persuadersi che il padrone della villa non aveva la barba tanto blu, e che era una persona ammodo e molto perbene. Tornati di campagna, si fecero le nozze.
    In capo a un mese, Barbablu disse a sua moglie che per un affare di molta importanza era costretto a mettersi in viaggio e a restar fuori almeno sei settimane: che la pregava di stare allegra, durante la sua assenza; che invitasse le sue amiche del cuore, che le menasse in campagna, caso le avesse fatto piacere: in una parola, che trattasse da regina e tenesse dappertutto corte bandita."Ecco", le disse, "le chiavi delle due grandi guardarobe: ecco quella dei piatti d'oro e d'argento, che non vanno in opera tutti i giorni: ecco quella dei miei scrigni, dove tengo i sacchi delle monete: ecco quella degli astucci, dove sono le gioie e i finimenti di pietre preziose: ecco la chiave comune, che serve per aprire tutti i quartieri. Quanto poi a quest'altra chiavicina qui, è quella della stanzina, che rimane in fondo al gran corridoio del pian terreno. Padrona di aprir tutto, di andar dappertutto: ma in quanto alla piccola stanzina, vi proibisco d'entrarvi e ve lo proibisco in modo così assoluto, che se vi accadesse per disgrazia di aprirla, potete aspettarvi tutto dalla mia collera." Ella promette che sarebbe stata attaccata agli ordini: ed egli, dopo averla abbracciata, monta in carrozza, e via per il suo viaggio.
    Le vicine e le amiche non aspettarono di essere cercate, per andare dalla sposa novella, tanto si struggevano dalla voglia di vedere tutte le magnificenze del suo palazzo, non essendosi arrisicate di andarci prima, quando c'era sempre il marito, a motivo di quella barba blu, che faceva loro tanta paura. Ed eccole subito a sgonnellare per le sale, per le camere e per le gallerie, sempre di meraviglia in meraviglia. Salite di sopra, nelle stanze di guardaroba, andarono in visibilio nel vedere la bellezza e la gran quantità dei parati, dei tappeti, dei letti, delle tavole, dei tavolini da lavoro, e dei grandi specchi, dove uno si poteva mirare dalla punta dei piedi fino ai capelli, e le cui cornici, parte di cristallo e parte d'argento e d'argento dorato, erano la cosa più bella e più sorprendente che si fosse mai veduta. Esse non rifinivano dal magnificare e dall'invidiare la felicità della loro amica, la quale, invece, non si divertiva punto alla vista di tante ricchezze, tormentata, com'era, dalla gran curiosità di andare a vedere la stanzina del pian terreno. E non potendo più stare alle mosse, senza badare alla sconvenienza di lasciar lì su due piedi tutta la compagnia, prese per una scaletta segreta, e scese giù con tanta furia, che due o tre volte ci corse poco non si rompesse l'osso del collo. Arrivata all'uscio della stanzina, si fermò un momento, ripensando alla proibizione del marito, e per la paura dei guai, ai quali poteva andare incontro per la sua disubbidienza: ma la tentazione fu così potente, che non ci fu modo di vincerla. Prese dunque la chiave, e tremando come una foglia aprì l'uscio della stanzina. Dapprincipio non poté distinguere nulla perché le finestre erano chiuse: ma a poco a poco cominciò a vedere che il pavimento era tutto coperto di sangue accagliato, dove si riflettevano i corpi di parecchie donne morte e attaccate in giro alle pareti. Erano tutte le donne che Barbablu aveva sposate, e poi sgozzate, una dietro l'altra. Se non morì dalla paura, fu un miracolo: e la chiave della stanzina, che essa aveva ritirato fuori dal buco della porta, le cascò di mano. Quando si fu riavuta un poco, raccattò la chiave, richiuse la porticina e salì nella sua camera, per rimettersi dallo spavento: ma era tanto commossa e agitata, che non trovava la via a pigliar fiato e a rifare un pò di colore. Essendosi avvista che la chiave della stanzina si era macchiata di sangue, la ripulì due o tre volte: ma il sangue non voleva andar via. Ebbe un bel lavarla e un bello strofinarla colla rena e col gesso: il sangue era sempre lì: perché la chiave era fatata e non c'era verso di pulirla perbene: quando il sangue spariva da una parte, rifioriva subito da quell'altra.
    Barbablu tornò dal suo viaggio quella sera stessa, raccontando che per la strada aveva ricevuto lettere, dove gli dicevano che l'affare, per il quale si era dovuto muovere da casa, era stato bell'e accomodato e in modo vantaggioso per lui. La moglie fece tutto quello che poté per dargli ad intendere che era oltremodo contenta del suo sollecito ritorno. Il giorno dipoi il marito le richiese le chiavi: ed ella gliele consegnò: ma la sua mano tremava tanto, che esso poté indovinare senza fatica tutto l'accaduto. "Come va", diss'egli, "che fra tutte queste chiavi non ci trovo quella della stanzina?" "Si vede", ella rispose, "che l'avrò lasciata di sopra, sul mio tavolino." "Badate bene", disse Barbablu, "che la voglio subito." Riuscito inutile ogni pretesto per traccheggiare, convenne portar la chiave. Barbablu, dopo averci messo sopra gli occhi, domandò alla moglie: "Come mai su questa chiave c'è del sangue?". "Non lo so davvero", rispose la povera donna, più bianca della morte. "Ah! non lo sapete, eh!", replicò Barbablu, "ma lo so ben io! Voi siete voluta entrare nella stanzina. Ebbene, o signora: voi ci entrerete per sempre e andrete a pigliar posto accanto a quelle altre donne, che avete veduto là dentro."
    Ella si gettò ai piedi di suo marito piangendo e chiedendo perdono, con tutti i segni di un vero pentimento, dell'aver disubbidito. Bella e addolorata com'era, avrebbe intenerito un macigno: ma Barbablu aveva il cuore più duro del macigno. "Bisogna morire, signora", diss'egli, "e subito." "Poiché mi tocca a morire", ella rispose guardandolo con due occhi tutti pieni di pianto, "datemi almeno il tempo di raccomandarmi a Dio." "Vi accordo un mezzo quarto d'ora: non un minuto di più", replicò il marito. Appena rimasta sola, chiamò la sua sorella e le disse: "Anna", era questo il suo nome, "Anna, sorella mia, ti prego, sali su in cima alla torre per vedere se per caso arrivassero i miei fratelli; mi hanno promesso che oggi sarebbero venuti a trovarmi; se li vedi, fà loro segno, perché si affrettino a più non posso". La sorella Anna salì in cima alla torre e la povera sconsolata le gridava di tanto in tanto: "Anna, Anna, sorella mia, non vedi tu apparir nessuno?".
    "Non vedo altro che il sole che fiammeggia e l'erba che verdeggia."
    Intanto Barba-blu, con un gran coltellaccio in mano, gridava con quanta ne aveva ne' polmoni: "Scendi subito! o se no, salgo io". "Un altro minuto, per carità" rispondeva la moglie. E di nuovo si metteva a gridare con voce soffocata: "Anna, Anna, sorella mia, non vedi tu apparir nessuno?".
    "Non vedo altro che il sole che fiammeggia e l'erba che verdeggia."
    "Spicciati a scendere", urlava Barbablu, "o se no salgo io." "Eccomi" rispondeva sua moglie; e daccapo a gridare: "Anna, Anna, sorella mia, non vedi tu apparir nessuno?". "Vedo" rispose la sorella Anna, "vedo un gran polverone che viene verso questa parte..." "Sono forse i miei fratelli? " "Ohimè no, sorella mia: è un branco di montoni."
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    "Insomma vuoi scendere, sì o no?", urlava Barbablu. "Un'altro momentino" rispondeva la moglie: e tornava a gridare: "Anna, Anna, sorella mia, non vedi tu apparir nessuno?". "Vedo" ella rispose "due cavalieri che vengono in qua: ma sono ancora molto lontani." "Sia ringraziato Iddio", aggiunse un minuto dopo, "sono proprio i nostri fratelli: io faccio loro tutti i segni che posso, perché si spiccino e arrivino presto."
    Intanto Barbablu si messe a gridare così forte, che fece tremare tutta la casa. La povera donna ebbe a scendere, e tutta scapigliata e piangente andò a gettarsi ai suoi piedi: "Sono inutili i piagnistei", disse Barbablu, "bisogna morire". Quindi pigliandola con una mano per i capelli, e coll'altra alzando il coltellaccio per aria, era lì lì per tagliarle la testa. La povera donna, voltandosi verso di lui e guardandolo cogli occhi morenti, gli chiese un ultimo istante per potersi raccogliere. "No, no!", gridò l'altro, "raccomandati subito a Dio!", e alzando il braccio...
    In quel punto fu bussato così forte alla porta di casa, che Barba-blu si arrestò tutt'a un tratto; e appena aperto, si videro entrare due cavalieri i quali, sfoderata la spada, si gettarono su Barbablu. Esso li riconobbe subito per i fratelli di sua moglie, uno dragone e l'altro moschettiere, e per mettersi in salvo, si dette a fuggire. Ma i due fratelli lo inseguirono tanto a ridosso, che lo raggiunsero prima che potesse arrivare sul portico di casa. E costì colla spada lo passarono da parte a parte e lo lasciarono morto. La povera donna era quasi più morta di suo marito, e non aveva fiato di rizzarsi per andare ad abbracciare i suoi fratelli.
    E perché Barba-blu non aveva eredi, la moglie sua rimase padrona di tutti i suoi beni: dei quali, ne dette una parte in dote alla sua sorella Anna, per maritarla con un gentiluomo, col quale da tanto tempo faceva all'amore: di un'altra se ne servì per comprare il grado di capitano ai suoi fratelli: e il resto lo tenne per sé, per maritarsi con un fior di galantuomo, che le fece dimenticare tutti i crepacuori che aveva sofferto con Barbablu.
    Così per tutti gli sposi.
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    Barbablù, ovvero la scoperta della femminilità

    Una fiaba che può essere interpretata in modo originale come un racconto insegna alle bambine a esprimere la curiosità e la forze che sono dentro di loro


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    Barbablù non è tanto simbolo di un carnefice, quanto di un tipo di rapporto in cui la donna è totalmente dipendente dall'uomo. Questo uomo sembra lasciare massima libertà alla moglie ("puoi fare tutto quello che vuoi") ma in realtà instaura un rapporto di sudditanza ("apri tutte le porte ma non quella che più ti incuriosisce"). La protagonista non si accorge nemmeno di questa trappola, rispetto quanto le è stato ordinato; sono le sorelle maggiori a spingere la minore a non rinunciare alla possibilità di vedere, sapere e capire.
    La curiosità fa crescere
    Chi sono le mogli precedenti uccise da Barbablù? Esse simboleggiano la morte del "femminile" che accade ogni qual volta una donna "dimentica" le proprie aspirazioni, i propri sogni, quando soffoca i desideri e si omologa a quanto viene richiesto dagli altri, dalla società, da un marito.
    Difendi la tua libertà
    Dopo aver preso coscienza di quanto Barbablù sia malvagio, la protagonista non può più dimenticare; infatti, significativamente, la chiave incriminata continua a sanguinare e non può più essere pulita. Alla donna a questo punto non rimane che affrontare il marito. La sua sorte sembrerebbe segnata, ma ecco giungere i fratelli, che fanno irruzione e uccidono il carnefice. La figura dei fratelli non è casuale, simboleggia le forze positive presenti in ogni donna (e in qualche modo il maschile presente in lei), pronte a intervenire quando lei ha ormai chiara la percezione che deve difendersi da chi la vuole danneggiare.
    I simboli: una bimba diventa una donna
    La stanza segreta
    contiene scheletri: è simbolo della femminilità che, invece di essere vissuta fino in fondo, è stata sacrificata alle richieste altrui di adeguarsi, sottomettersi, dimenticarsi della propria vera natura.
    I fratelli che alla fine salvano la protagonista della fiaba, non sono da identificare necessariamente in "uomini", ma nella parte "forte e indipendente" che esiste in ogni essere umano, anche nelle donne.
    Le tre sorelle rappresentano tre diverse tappe della crescita: le maggiori non sono "più brave" della minore, hanno solo più
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  9. embriaco

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  10. embriaco

    embriaco User

  11. olandiano

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  12. embriaco

    embriaco User

    Olandiano, Ochenk, Henk.......l'olandese più italiano di noi tutti.....
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    Le tigri di Mompracem

    Emilio Salgari

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    La prima edizione Donath di Genova con illustrazioni di Giuseppe Gamba
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    Apparso inizialmente a puntate sul periodico veronese La Nuova Arena, fra il 1883 e il 1884, con il titolo La tigre della Malesia (nel 1886 apparve su "Il Telefono", e nel 1890-91 su "La Gazzetta di Treviso") il romanzo viene pubblicato in volume da Donath di Genova per la prima volta nel 1900, con il titolo definitivo. È una delle opere che costituiscono il "ciclo dei pirati della Malesia" - iniziato con I misteri della jungla nera (1895) - con protagonista Sandokan, pirata detto “La Tigre” per la sua ferocia e l'abilità, che si presenta ai lettori così: "Al di fuori l'uragano e qua io! Quale il più tremendo?"

    È la storia di una banda di pirati che lottano contro la potenza britannica, partendo da Mompracem, una piccola isola sulla quale si trova il loro rifugio - probabilmente l'attuale Keraman -, al largo del Borneo, segnalata sugli atlanti sino a fine Ottocento.
    Sono "uomini coraggiosi fino alla pazzia che a un qualunque segno di Sandokan non esiterebbero a saccheggiare il sepolcro di Maometto...", così li definisce la prosa suggestiva di Salgari.
    Sandokan è il loro capo, un principe privato del suo regno, mente Yanez, il suo braccio destro, è un avventurioero portoghese, ribaldo, ma fedele e coraggioso.
    l centro dell'azione sono le avventure che la Tigre della Malesia affronta nel suo continuo duello con i soldati dell'impero britannico.

    Sconfitto dalla marina inlgese in battaglia, il pirata viene rinvenuto ferito sulla spiaggia di Labuan, l'isola controllata dalla guarnigione coloniale. Non riconosciuto, viene affidato alle cure di lord James Guillonk e assistito dalla di lui bellissima nipote, Marianna, chiamata la 'Perla di Labuan'.
    Sandokan non riuscirà a tenere segreta la sua vera identità per molto e, salvato dall'arrivo di Yanez e dei tigrotti, tornerà presto sull'isola per riprendersi Marianna e portarla a Mompracem.
    Infatti, viene smascherato dal baronetto William Rosenthal, pretendente di Marianna, e fugge a Mompracem. Alcuni giorni dopo un veliero malese guidato dal pirata Pisangu approda nel rifugio dei pirati e Sandokan apprende da un caporale inglese prigioniero che Marianna sarà costretta a sposare William. Decide quindi di rapire la donna che ama.

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    L'edizione Donath del 1906 del romanzo, con illustrazioni di Alberto Della Valle e Pipein Gamba
    La villa è però sottoposta a stretta sorveglianza, così Yanez, con uno stratagemma, si introduce nella villa spacciandosi per un cugino di William e convince il lord a rifugiarsi a Vittoria con la nipote.
    Durante il percorso Sandokan e i suoi uomini assaltano la comitiva, rapiscono Marianna e fanno ritorno a Mompracem, che nel frattempo è stata attaccata dall'artiglieria nemica. Sebbene gli inglesi siano stati respinti, i pirati chiedono al loro capo di rispondere all'attacco.
    Sandokan annuncia che la battaglia sarà l'ultima: ha deciso che lascerà per sempre l'isola con Marianna.
    La flotta malese viene affondata quasi completamente, numerosi uomini vengono uccisi, Sandokan è fatto prigioniero e Marianna è condotta sul ponte della nave inglese.
    Con la complicità della donna Sandokan riesce a fuggire e, con Yanez e pochi uomini rimasti, si lancia all'assalto del brigantino di lord Guillonk e libera Marianna. Quindi Sandokan invita Yanez a puntare verso Giava e, scoppiando in singhiozzi, annuncia a Marianna che "la Tigre è morta, e per sempre!", dando così il suo addio alla pirateria.

    Dal romanzo di Salgari la Rai ha realizzato nel 1976 uno sceneggiato tv diretto da Sergio Collima, con Kabir Bedi, Carole André e Philippe Leroy.


    L'incipit

    Sandokan e Yanez

    La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo. Nel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliati, mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe foreste dell'isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal vento, s'urtavano disordinatamente e s'infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti con gli scoppi, ora brevi e secchi e ora interminabili, delle folgori. Nè dalle capanne allineate in fondo alla baia dell'isola, nè sulle fortificazioni che le difendevano, nè sui numerosi navigli ancorati al di là delle scogliere, nè sotto i boschi, nè sulla tumultuosa superficie del mare si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da Oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un'altissima rupe, tagliata a picco sul mare, brillare due punti luminosi: due finestre vivamente illuminate. Chi mai vegliava in quell'ora e con simile bufera nell'isola dei sanguinari pirati?
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    ADDIO MOMPRACEM!
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    Copertina di Andrea Della Valle
    Tratto da ‘’ SULLE ORME DI SANDOKAN- UN VIAGGIO TRA MITO E REALTÀ’’ di Claudia Gazzini
    Sandokan, sconosciuto in gran parte del mondo, in Italia invece fa parte di quel panteon di eroi nazionali come Garibaldi e Cavour, eroi dell’indipendenza e dell’unità d’Italia.
    Pur non essendo un generale e nemmeno un italiano, Sandokan si è conquistato ad honorem la nazionalità del nostro bel paese. L’Italia, che oggi è così restia ad aprire i suoi confini agli immigrati asiatici, un secolo e mezzo fa lasciò entrare un pirata malese nel suo panteon narrativo. A menzionare Sandokan, infatti, si ricorda un eroe che ha dominato le fantasie infantili degli italiani, specialmente di chi è cresciuto prima dell’era
    dei cartoni animati oppure di chi, come me, non ne avesse accesso.


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    Ricordando Sandokan si ricupera un mondo esotico, fatto di covi di pirati, mari in tempesta, velieri catturati e bellezze orientali. Si riporta in vita un personaggio che, pur essendo un malese dai tratti somatici indiani, era portatore di quelle passioni ed istinti del Risorgimento italiano:avventura, indipendenza ed amori. Si recupera un mito che, per molti, è diventato realtà. È un mito, perché Sandokan realmente non è mai esistito eppure ne continuiamo a parlare ed a riverire come se fosse stato un tempo tra di noi. La verità la sappiamo tutti ed è che Sandokan non è altro che un personaggio letterario. Frutto di quella meravigliosa immaginazione avventuriera dello scrittore veronese Emilio Salgari, Sandokan è l’eroe di
    oltre venti romanzi divorati da ormai tre generazioni di italiani. Apparso per la prima volta nel giornale La Nuova Arena nel 1883 in una serie intitolata La Tigre della Malesia
    (questo il soprannome del nostro eroe), a cui seguirono presto altri volumi.

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    Emilio Salgari (Verona 1862-Torino 1911)
    Sandokan con le sue avventure d’amore e di pirateria nei mari del Borneo divenne da subito l’uomo-eroe degli italiani.
    Ciò che eleva Sandokan da semplice personaggio letterario ad un mito è che ha un tale bagaglio di storie leggendarie eppure plausibili ed ha vissuto imprese così ben descritte e verosimili da renderlo reale. Sono reali il suo nome, la sua storia, i luoghi dove ha vissuto e le persone che lo circondano. Sono tanto reali ed allo stesso tempo tanto leggendarie da diventare mito.


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    Il suo nome, Sandokan, deriva dal nome della città malese di Sandakan, il principale porto commerciale del nord del Borneo da dove proviene il nostro eroe. Fino a poco fa il sindaco di Sandakan non sapeva nemmeno che la sua città diede il nome ad uno dei grandi eroi della letteratura italiana. Al riferirglielo si entusiasma, propone un gemellaggio con Verona, la città natia di Salgari, o Torino, dove lo scrittore morì suicida nel 1911.
    Propone anche che i romanzi di Sandokan vengano tradotti in malese. Non conosce la storia del pirata Sandokan, dice. Ma quando poi gliela racconto, descrivendogli i suoi
    arrembaggi contro velieri inglesi, le avventure che lo portano ad innamorarsi di Marianna, la mezza inglese-mezza italiana soprannominata La Perla di Labuan per la sua
    bellezza, e quando gli racconto delle sue incursioni contro il raja bianco del Sarawak James Brooke, il sindaco si illumina. Conosce la storia che le mie parole stavano
    dipanando. I suoi figli guardavano ogni Mercoledì alle tre e trenta del pomeriggio un cartone animato che ripercorreva le vicende che gli stavo raccontando. Solo che in Malesia non lo chiamano Sandokan e non sapevano nemmeno che la storia fosse stata creata da un italiano. Nel cartone animato, la storia di questo pirata che combatte contro gli inglesi è stata nazionalizzata, i nomi cambiati e la figura salgariana del Tigre della Malesia riadattati alle vicende di un pirata malese realmente esistito. Si tratta di Mat Salleh, che però combattè contro gli inglesi ben venti anni dopo il parto letterario di Sandokan. Il mito, nel caso di Sandokan, ha preceduto la realtà.


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    Infatti il nostro personaggio salgariano è reale anche nella misura in cui è verosimile la sua storia. Sandokan è principe malese divenuto pirata per vendetta, per
    vendicare l’uccisione della sua famiglia per mano inglese. Dal suo piccolo regno nell’isola di Mompracem, che Salgari
    descrive come un covo di pirati protetto da altre scogliere, Sandokan diventa leggendario per la sua temerarietà e per i suoi arrembaggi contro gli inglesi. Accumula nelle grotte sotterranee della sua isola I tesori rubati dalle navi inglesi. Si innamora e rapisce la bella Perla di Labuan, vive un amore travolgente stroncato prematuramente dalla morte della sua amata Marianna. Sandokan diventa il nemico più temuto di James Brooke, l’avventuriero inglese che fonda il suo regno privato nel
    Sarawak, con capitale Kuching. I due giungono a sfidarsi faccia a faccia diverse volte, ma entrambi, eroe ed anti-eroe, riescono sempre dalla presa dell’altro continuando così nuove sfide.


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    Mompracem, Labuan, Kuching, James Brooke sono esistiti realmente. Esistono ancora, a loro modo. Non certo come li aveva descritti Salgari, che nella sua fantasia narrativa
    aveva aggiunto drammaticità e libertà poetica ai personaggi ed ai luoghi descritti.



    Nella cartina sottostante compare Mompracem, col nome col quale Salgari l'ha descritta

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    PORTOLANO DI LOPO HOMEN, 1554.
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    Mompracem non è un’isola a due giorni di navigazione da Labuan e non ha pendii scoscesi sul mare in tempesta. La Mompracem delle cartine nautiche dell’ottocento non si
    chiama nemmeno più Mompracem, ma Pulau Kerawan, ossia l’isola che scompare.
    Le sue basse coste sabbiose tendono infatti a scomparire con l’alta marea. Labuan è ancora oggi una importante isola di fronte al Borneo, ma di perle (anche metaforiche) non ve n’è più traccia. È un free-port commerciale, un isola che, sebbene malese, gode di una sorta di extra-territorialità commerciale che gli permette di vendere alcol ed aprire casino. È una sorta di parco giochi per chi vuole scappare via dalle dal regno ad ispirazione islamica del Sultanato del Brunei, li di fronte. Kuching, la città costruita da JamesBrooke, pure, esiste ancora. C’è ancora il suo palazzo, l’Altana, da dove dava ordine di dare la caccia a Sandokan, ma attorno sono sorti grattacieli.

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    L'Altana, costruito da James Brook
    Dicono che in Borneo i pirati esistono ancora, ma i malesi ed i daiacchi che oggi si vedono remare nei fiumi o nei mari del Borneo non sono più i tigrotti di Sandokan. Le strette barche ricavate scavando un solo tronco d’albero adesso riportano le sponsorizzazioni di marche di sigarette, non
    lance ed i temuti kriss bagnati da veleni mortali, come amava ricordare Salgari.
    Mito e realtà non corrispondono più. Il mito di Sandokan sta tramontando e Mompracem, come il suo nuovo nome ci ricorda, sta scomparendo...............



    Dal satellite ecco la turistica isola di Labuan, posta di fronte al Brunei. A sud-ovest Mompracem, ovvero P. Keraman, l'isola che scompare.


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    Oggi la realtà è questa: Pulau Keraman dista circa 15km da Labuan, e nel suo punto più elevato misura 35m. Lì al centro si trova un faro. E’ abitata da una famiglia di coltivatori, i quali di anno in anno si ritrovano con meno terra da coltivare. I loro campi devono arretrare sempre più e stanno pensando di abbandonare l’isola.
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    Rivolta ad est vi è una striscia di sabbia, lunga un paio di km, ma di anno in anno più corta. Curiosamente viene chiamata Coda della Tigre. Nell'immagine qui sotto, la Coda della Tigre in una foto del 2007.

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    Qui sopra, in una vecchia foto degli anni '70, gli abitanti di Pulao Keraman.
    E infine due immagini panoramiche della nostra isola così come è oggi.


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    personaggi ed interpreti.....
    Sandokan........................................olandiano
    Yanez..............................................miki1570
    Tremal-Naik......................................Airpupazzi
    Lady Marianna Guillonk.......................GBRY1967
    Ada Corishant....................................dany60
    Surama............................................._caramon_
    Kammamuri.......................................Lupo alberto 2
    Lord James Guillonk............................Trackplus
    James Brooke.....................................Roby 4

    etc.....
    EMILIO SALGARI: LA VITA

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    Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgari nacque a Verona il 21 agosto del 1862 da una famiglia di modesti commercianti; nel 1878 si iscrisse al Regio Istituto Tecnico e Nautico "P.Sarpi" di Venezia, ma senza ottenere la licenza. Come "uomo di mare" compì solo alcuni viaggi di addestramento a bordo di una nave scuola e successivamente un viaggio (probabilmente in qualità di passeggero) sul mercantile "Italia Una", che per tre mesi navigò su e giù per l'Adriatico, toccando la costa dalmata e spingendosi fino al porto di Brindisi; ma il Capitano Salgari non smise mai di credere e narrare le sue avventure.
    Nel 1883 inizia a collaborare con il giornale "La Nuova Arena", della sua città Verona, sulle cui pagine apparve a puntate il suo primo romanzo, "Tay-See", stampato successivamente (dopo aver subito varie modifiche alla trama) con il titolo "La Rosa del Dong-Giang"; nell'ottobre dello stesso anno escono le prime puntate di "La Tigre della Malesia". Inizia così la sua fortunata e tormentata carriera di scrittore che annovera al suo attivo circa ottanta romanzi e un numero ancora imprecisato di avventure e racconti.
    Nel 1889 il suicidio del padre: primo di un'impressionante catena formata dallo stesso scrittore nel 1911, dal figlio Romero nel 1931 a 33 anni, dal figlio Omar, testimone e interprete della leggenda paterna, nel 1963. Nel 1892 si sposa con Ida Peruzzi (che il marito chiamerà affettuosamente per tutta la vita "Aida", come l'eroina di Verdi): un matrimonio, questo, a suo modo riuscito (ma la moglie morirà internata in manicomio); nello stesso anno la famiglia Salgari, ampliatasi con la nascita della piccola Fatima (la primogenita, seguiranno poi tre maschietti: Nadir nel 1894, Romero nel 1898 e Omar nel 1900), si trasferisce a Torino, dove lavora per l'editore Speirani, casa editrice per ragazzi; nel 1898 l'editore Donath lo convince a trasferirsi a Genova ed è qui che stringe amicizia con Giuseppe "Pipein" Gamba che sarà il suo primo grande illustratore. Sono anni buoni, interrotti da un nuovo trasferimento a Torino, nel 1900. Le condizioni della famiglia si fanno precarie, nonostante l'incessante lavoro per mantenere un rispettabile decoro borghese; rompe il contratto con Donath e passa a Bemporad (per cui, dal 1907 al 1911 scrive 19 romanzi). Il successo, specialmente tra i ragazzi, continua, diversi titoli raggiungono le 100.000 copie, anche se la critica ignora la sua produzione. Il collasso nervoso e il ricovero della moglie sono il colpo di grazia per un uomo stremato. Scrive tre lettere, ai figli, agli editori, ai direttori dei giornali torinesi e si toglie la vita il 25 aprile 1911. La sua opera tuttavia è rimasta viva a nutrire con tutto il suo fascino la fantasia di generazioni di ragazzi e non.

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    Ai miei editori:
    A voi che vi siete arricchiti con
    la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia
    in una continua semi-miseria od anche più,
    chiedo solo che per compenso dei guadagni
    che io vi ho dato pensiate ai miei funerali.
    Vi saluto spezzando la penna.
    Emilio Salgari


    In alto: Il "Capitano" Emilio Salgari.

    A lato: La famiglia Salgari al completo. Ida "Aida", Emilio, e i figli Omar,
    Nadir, Romero e Fatima.
     
  13. olandiano

    olandiano User

  14. embriaco

    embriaco User

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    Last edited: May 12, 2017
  15. olandiano

    olandiano User

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    cosi tu posso mettere un nuovo msg embri...;)
     
  16. BLONDI2011

    BLONDI2011 User

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  17. miki1570

    miki1570 User

    Ciao Blondi2011, se riesci mandami un messaggio indicandomi quanti cuori abbiamo noi e in che orari giochi solitamente, perché non riesco a trovarti nella mia lista amici.

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  18. embriaco

    embriaco User

    Le avventure di Robinson Crusoe (The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe) è l’opera più nota di Daniel Defoe (1660-1731) unanimemente considerato il padre del romanzo moderno.
    Il libro racconta le avventure di un giovane marinaio inglese, che naufraga su un’isola deserta nell’Atlantico e vi resta per quasi ventotto anni; durante questo periodo, avrà tempo e occasione di mettere alla prova tutte le sue capacità di adattamento all’ambiente, vivendo al tempo stesso grandi avventure.
    Robinson Crusoe è il primo romanzo di Daniel Defoe, che lo pubblica nel 1719, all’età di ormai sessant’anni, dopo una vita passata tra attività commerciali, una ricca carriera giornalistica, la politica e addirittura lo spionaggio. Già pochi mesi dopo la sua pubblicazione, il romanzo conosce un grandissimo successo presso il pubblico borghese del tempo; col tempo Robinson Crusoe diventerà una delle letture più popolari per adulti e bambini di tutto il mondo e una delle opere letterarie più importanti della letteratura occidentale.
    Riassunto
    Il romanzo, ambientato nella seconda metà del XVII secolo, è narrato in prima persona ed incentrato sulla figura di Robinson Crusoe, un ragazzo inglese della classe media che decide di prendere la via del mare contro i desideri del padre, che lo vorrebbe avvocato. La nave su cui viaggia Robinson fa subito naufragio ma egli non si scoraggia e si imbarca per una seconda volta. Anche in questo caso, l’esito è infelice: Robinson è catturato da alcuni pirati e preso come schiavo a Salé, in Africa. Dopo due anni, il protagonista fugge abilmente insieme a un ragazzo arabo di nome Xury e viene recuperato dal capitano portoghese di una nave. Robinson cede Xury al capitano (strappandogli la promessa di liberarlo dopo dieci anni di servizio o dopo la sua conversione alla fede cristiana) e giunge in Brasile, dove il capitano lo aiuta a fondare una piantagione di canna da zucchero, riportando interessanti successi commerciali.
    Dopo alcuni anni tranquilli, Robinson si rimette per mare per intraprendere la redditizia tratta degli schiavi dall’Africa. È in questa circostanza che si verifica la circostanza decisiva della sua vita: dopo un altro naufragio, non lontano da Trinidad, egli si ritrova su un’isola alla foce del fiume Orinoco (Venezuela), che poi chiamerà Isola della Disperazione. Grazie ad alcuni attrezzi recuperati fortunosamente dalla nave naufragata, il protagonista riesce a costruirsi un’abitazione, tiene un diario, si fabbrica un rudimentale calendario, cominciando a coltivare e anche ad allevare alcune capre. Robinson, che ha la sola compagnia di qualche animale (tra cui un cane, due gatti e, più avanti, un pappagallo ammaestrato) in pratica ricostruisce sull’isola deserta il mondo inglese da cui proviene, dimostrando come, con ingegno, razionalità e spirito d’intraprendenza si possano superare le difficoltà più impervie. Come egli annota nel proprio diario, impara giorno per giorno a far crescere l’orzo e l’uva, a cacciare, a lavorare la ceramica per le proprie esigenze; dopo un sogno rivelatore, durante un attacco di febbre, egli scopre pure la fede. La Bibbia sarà così la sua unica e decisiva lettura: il suo impegno concreto di fronte alle insidie della Natura si unisce spontaneamente con la fiducia, prima o poi, nell’aiuto della Provvidenza divina.
    Dopo alcuni anni di totale solitudine, Robinson scopre di non essere solo: prima nota un’altra impronta umana sulla spiaggia, poi scopre che sulla sua isola un gruppo di cannibali è solito sacrificare le proprie vittime. Quando questi si recano lì con una nuova preda, Robinson li attacca e li uccide, salvando un selvaggio a cui egli darà il nome di Venerdì, in onore del giorno della settimana in cui quest’ultimo è stato liberato. Venerdì è un ragazzo gentile e intelligente e presto si affeziona a Crusoe, che gli legge la Bibbia e lo converte al Cristianesimo. Con lui Robinson libera altre due vittime dei cannibali: una è il padre di Venerdì, l’altra un marinaio spagnolo che svela al protagonista come sulla terraferma ci siano altri naufraghi spagnoli. Robison organizza allora un piano per cui lo spagnolo e il padre di Venerdì avrebbero dovuto ritornare a terra, radunare gli altri marinai, costruire una nave e tornare verso l’Europa.
    Tuttavia, prima che ciò si verifichi, sopraggiunge una nave inglese di ammutinati, che vogliono abbandonare a riva il comandante; Robinson, dopo essersi accordato con quest’ultimo, sbaraglia gli ammutinati, li lascia sull’isola e si impadronisce della nave, con cui, il 19 dicembre 1686, Crusoe salpa per l’Inghilterra, dove giunge l’11 giugno del 1687. Qui, dopo che è stato dato per morto da tutta la famiglia, scopre di essere ricchissimo: recatosi a Lisbona, scopre per il tramite del capitano portoghese che le sue piantagioni in Brasile sono diventate molto produttive. Mentre trasporta via terra le sue ricchezze, sempre seguito dal fedele Venerdì, il protagonista si scontra sui Pirenei con un branco di lupi affamati. Egli poi vende la pitangione, si sposa e ha tre figli, diventa per un breve periodo governatore dell’isola che lo ha ospitato per quasi trent’anni e infine si ritira a vita privata nella natia Inghilterra.
    Robinson, un avventuriero borghese e devoto
    Robinson Crusoe è un romanzo d’avventura che è stato letto da molte parti come un’opera che celebra l’avvento e l’ascesa della moderna classe borghese, celebrandone i valori e gli ideali dell’imprenditorialità, della dinamicità, della fiducia nei propri mezzi per conquistarsi benessere e riconoscimento sociale. Robinson è il prototipo dell’uomo borghese e, in questo senso, la religione riveste un ruolo di grande importanza nell’economia del romanzo di Defoe. Prima di imbarcarsi per il suo primo viaggio, il padre di Robinson tenta di farlo desistere affermando che Dio non benedice questa sua partenza. Una volta sull’isola, dopo esser scampato a numerosi pericoli, Crusoe viene visitato in sogno da un misterioso essere che lo accusa di non essersi pentito delle sue cattive azioni. Nella sua solitudine, Dio diventa il suo interlocutore e la Bibbia la sua guida morale ed esistenziale. Robinson comincia allora a inquadrare la sua avventura e gli eventi che si susseguono in una prospettiva cristiana e provvidenziale: la disubbidienza al padre come peccato, il naufragio come susseguente punizione, l’approdo sull’isola e i fortunosi incontri (come quello con Venerdì o con la nave inglese) come tappe di un itinerario di fede che, per essere davvero completo, prevede il superamento di tutte le difficoltà possibili e, quindi, la maturazione del protagonista principale.
    In effetti, nella fittizia introduzione d’autore, di mano dello stesso Defoe, che apre il romanzo si legge:
    La storia è narrata con sobrietà, serietà e applicando con sentimento religioso gli eventi ai fini ai quali i saggi sempre li applicano, cioè a insegnare agli altri con l’esempio, e a giustificare e onorare la saggezza della Provvidenza nelle nostre più varie circostanze, comunque si presentino.​
    Anche nelle Serie riflessioni nella vita e nelle sorprendenti avventure di Robinson Crusoe (1720), ovvero in un tentativo di Defoe di “continuare” le avventure del suo eroe, lo scrittore inglese si soffermerà sui modi di azione della Provvidenza, affermando che essa agisce in tempi e modi incerti, onde evitare che l’uomo non prenda cura di sé e non rifletta sulle sue azioni dando per scontato che essa si manifesti.
    Robinson Crusoe è quindi un nuovo tipo di eroe romanzesco, che si rivolge direttamente al lettore borghese mettendo in campo i valori in cui quest’ultimo si rispecchia maggiormente: la fiducia incrollabile nei propri mezzi e la fede serena (ma non per questo passiva o supina) nella benevolenza di Dio, che illuminerà solo chi dimostrerà di impegnarsi attivamente per migliorare il proprio destino.
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    Last edited: May 13, 2017
  19. embriaco

    embriaco User

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    domenica 14 maggio
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    Testo La Mamma del Gino - 1962

    Questa è la storia tutta da piangere
    di una mamma un pochino ingenua
    che difendeva il suo Gino
    lo difendeva così.

    Si tratta certo di un malinteso
    no non capisco perché me l’hanno preso
    nella mia casa è successo che ieri
    un commissario con due brigadieri
    hanno frugato cercato e trovato
    la sua borsa di pelle nera.

    Che c’è di strano se l’hanno trovata
    lui la sua roba la tiene ordinata
    c’era la lima la pinza e che bello
    c’era pure il suo grimaldello.

    Lui li ha seguiti non si è difeso
    no non capisco perché me l’hanno preso.

    Mamme pettegole qua nel rione
    me lo diffamano in ogni occasione
    l’han criticato parlando anche male
    di quella storia dell’ospedale.

    Quando ‘ste estate laggiù a Bardonecchia
    lui ha dato due pugni a una vecchia
    io non lo so come il fatto sia andato
    ma quella vecchia l’avrà provocato.

    A questi fatti non ci do peso
    no non capisco perché me l’hanno preso.

    Dicon che ha avuto la mano pesante
    nel furtarello a quel mendicante
    ma dico io con quale coraggio
    oggi difendono l’accattonaggio.

    Adesso corro a spedirgli un bel pacco
    ci ho messo dentro biscotti e tabacco
    un gran ritaglio con su il suo il suo ritratto
    e gli aranci che lui ne va matto.

    Si tratta certo di un malinteso
    ma il mio Gino perché me l’hanno preso.
     
    Last edited: May 13, 2017
  20. topgun123

    topgun123 User



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    Last edited: May 13, 2017
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