Italia! Il più bel paese del mondo

Discussion in 'Sezione Italiana' started by Air-Base, Apr 3, 2017.

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  1. turbolenza

    turbolenza User

    ciao sono nuovo del gioco come faccio per avere amici per inviare e farmi inviare aerei
     
  2. _caramon_

    _caramon_ User

    ti chiedo l'amicizia...
     
  3. turbolenza

    turbolenza User

    grazie mille
     
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  4. embriaco

    embriaco User

    Ramarro, first masochist superhero


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    Ramarro, supereroe masochista, è uno dei simboli del disegno e della poetica di Palumbo: supereroe “bizzarro”, verde, antropomorfo e dotato di alcuni segni di “mutazione”, Ramarro può, con i suoi poteri, rimarginare ferite e far ricrescere gli arti amputati; e di fronte alle violenze e alle offese prova uno straniante senso di gioia. È un eroe eccessivo, ironico e grottesco.​

    Ramarro, il supereroe bizzarro, masochista come solo un supereroe può esserlo: cercare nemici sempre più cattivi per provare sempre più dolore, tanto poi guarisce…
    Dal genio di Giuseppe Palumbo.
    RAMARRO di Giuseppe Palumbo
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    RAMARRO

    di Giuseppe PalumboPrimo Carnera - 1989

    A me, le avventure del Primo Supereore Sadomasochista non sono mai piaciute molto, ne queste pubblicate su Frigidaire e Tempi Supplementari, raccolte in volume, nemmeno quelle che qualche anno dopo verranno pubblicate su Cyborg; non sono mai piaciute le avventure, le storie, le scenggiature.
    Ma il disegno di Palumbo, beh quello non ha uguali. Già all'epoca il Palumbo era proiettato verso il nuovo decennio, l'ultimo decennio del secolo, la sua capacità di caratterizzare ambienti e personaggi con il suo stile unico e inconfondibile lo proietta tra imigliori autori del fumetto italiano e forse pure di quello mondiale. Anche Ramarro sarebbe un bel personaggio, forse ha trovato posto sulle pagine di Frigo proprio perché si vede lontano un miglio che è un figlio illegittimo di Ranxerox; ha poco da spartire con il padre, se non lo spirito autodistruttivo e la massa muscolare, ma è evidente che hanno in comune qualcosa nel DNA

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  5. embriaco

    embriaco User

    Titolo: Enrico IV
    Autore: Luigi Pirandello
    Anno di prima pubblicazione: 1922

    “Confidarsi con qualcuno, questo sì è veramente da pazzo!”

    “Chi più sa chiacchierare, più è bravo.”

    “Questa cosa orribile, che fa veramente impazzire: che se siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi [...] potete figurarvi come un mendico davanti ad una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell’altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca.”
    Luigi Pirandello
     
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  6. embriaco

    embriaco User

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    • USA-Messico: storia tormentata di un confine
    Edoardo Frittoli

    Il possesso del Texas fu il primo motivo di tensione al confine tra l'allora Viceregno della Nuova Spagna e i neonati Stati Uniti, dopo che questi ebbero l'appoggio degli Spagnoli nell'affrancamento dalla madrepatria britannica.
    Nel 1821 anche il Messico divenne indipendente da Madrid, venendo immediatamente riconosciuto nelle relazioni diplomatiche da Washington. Nonostante l'avvio di scambi commerciali, la questione del possesso del Texas rimase centrale. Ad aggravare la situazione di tensione tra le due nazioni confinanti contribuì l'occupazione di parte del territorio del Texas orientale da parte di coloni statunitensi, che arrivarono a rivendicare l'autonomia dal governo messicano. L'opinione pubblica americana cominciò a guardare con simpatia i coloni, fino alla dichiarazione di annessione del Texas nel 1845. La reazione messicana fu scontata, e portò alla guerra tra Messico e Usa combattuta dal 1846 al 1848. Per il Messico fu una disfatta totale, e la sconfitta portò all'annessione non solo del Texas, ma anche dei territori dell'attuale New Mexico e di parte della California.
    Tra gli anni '50 e '60 del secolo XIX si registrò un ulteriore incremento territoriale a favore degli Usa, avvenuto tramite successivi accordi con il governo di Antonio Lopez di Santa Anna. Nel 1861 i conservatori messicani cercarono l'alleanza della Francia di Napoleone III per rovesciare la Repubblica messicana e favorirono gli stati del Sud degli Usa durante la Guerra di Secessione. La Francia passò ai fatti intervenendo direttamente in Messico e instaurando il governo fantoccio di Massimiliano I, un principe austriaco. Nel 1865 terminò la guerra di Secessione e gli Stati Uniti fornirono armi ai repubblicani messicani che riusciranno nell'intento di cacciare i Francesi. Massimiliano I sarà giustiziato nel 1867.
    Meno di un decennio dopo l'instabilità politica del Messico portò alla presa del potere da parte del generale Porfirio Diaz, il quale impostò una politica di crescita che portò un importante flusso di capitali statunitensi per lo sviluppo del Messico. Ancora una volta il confine tra Messico e Usa sarà turbato da incidenti dovute alle scorrerie degli Apache di Geronimo, eventi che momentaneamente contribuiranno a far crescere la cooperazione tra le due nazioni e a far riconoscere definitivamente agli americani il regime di Diaz, che lascerà il posto a Francisco Madero nelle successive elezioni. Quest'ultimo sarà assassinato dagli uomini di Ferdinando Zapata nel 1913, facendo precipitare il Messico nel caos della futura rivoluzione, dovuta principalmente alla mancata riforma agraria promessa dal successore di Madero, Huerta.
    Seguirono oltre 10 anni di caos e guerra civile in cui gli Usa cercarono di ostacolare i capi della rivolta (sopra tutti Pancho Villa) e i successivi governi rivoluzionari messicani degl anni '20. La tensione ebbe il suo apice col governo di Elias Calles, quando la rivolta prese una piega anticlericale contro la Chiesa Cattolica messicana al quale il neo ambasciatore Usa Dwight Morrow rispose proponendo un vantaggioso accordo commerciale per il Messico e la mediazione tra la Chiesa e il governo zapatista avvenuta nel 1929.
    Le tensioni tra Usa e Messico si ripresentano nel decennio successivo sulla questione del petrolio, quando il presidente rivoluzionario Càrdenas ordinò la nazionalizzazione dei giacimenti a danno della Standard Oil. Washington rispose allora con espulsioni di cittadini messicani dal territorio degli Stati Uniti. La Seconda Guerra Mondiale portò relativa calma tra le due nazioni per la necessità americana di assicurarsi un flusso di materie prime dal Messico. Dalla guerra nacque il "programma Bracero", che prevedeva l'impiego di personale messicano nel settore agricolo del Sud degli Usa, accordo in vigore fino al 1964. Durante la Guerra Fredda il Messico appoggiò sostanzialmente la politica Usa in america centrale avvallando tra l'altro la cacciata del presidente socialista del Guatemala Jacobo Arbenz. Nel 1994 il legame commerciale tra Usa, Messico e Canada sarà rafforzato dai cosiddetti accordi di libero scambio noti come NAFTA (North American Free Trade Agreement).
    Il problema principale dagli anni '80 in avanti è rappresentato, oltre cha dagli ingressi clandestini negli Usa, dal traffico di droga attraverso il confine. Oltre l'80% della cocaina immessa sul mercato Usa giunge attraverso il Messico, situazione che ha portato negli anni 2000 alla costruzione di una barriera lungo la linea di confine ed al rafforzamento della sorveglianza, che non ha tuttavia impedito numerosi episodi di violenza lungo la linea di frontiera. L'operazione volta alla "tolleranza zero" fu posta in atto nel 2005 come Operation Streamline. La misura straordinaria considera azione criminale l'immigrazione clandestina nel territorio degli Stati Uniti, prevedendo processi di massa per direttissima nei quali circa il 99% degli imputati è giudicato colpevole del reato. L' operazione, che ha attratto critiche di incostituzionalità, di scarsa efficacia e di eccessivo peso economico, ha riguardato circa 750.000 casi di ingresso illegale negli Usa. Già prima dell'escalation promessa dal neo-presidente Donald Trump con il progetto del muro tra Stati Uniti e Messico.
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  7. embriaco

    embriaco User

  8. embriaco

    embriaco User

    Giovanna d’Arco

    Pulzella d’Orléans e condottiera di eserciti

    [​IMG]Cleopatra fu indubbiamente una grande politica e una donna dall’incredibile fascino, ma non fu mai una guerriera, ruolo che nell’antichità (e molto spesso anche nell’età moderna) non competeva alle donne. L’eccezione più vistosa a questa regola è rappresentata da Giovanna d’Arco, una ragazza che da sola seppe guidare un esercito e risollevarne le sorti, pagando anche con la vita la sua intraprendenza.
    Nata nel 1412 a Domrémy, in Lorena, Giovanna ebbe una fanciullezza tranquilla e devota, anche se la sua terra era devastata dalla Guerra dei cent’anni, che opponeva da una parte la Francia (o quel che ormai ne rimaneva) e dall’altra l’Inghilterra e la Borgogna, che da qualche anno sembravano nettamente in vantaggio dal punto di vista militare e pronte per sferrare l’attacco decisivo, che avrebbe potuto portare all’annessione definitiva di gran parte del territorio francese all’Inghilterra. Già a 13 anni, però, secondo la sua stessa testimonianza Giovanna cominciò a sentire delle voci, attribuite a Santa Caterina, a Santa Margherita e all’Arcangelo Michele: per questo rifiutò il fidanzato che la famiglia le aveva trovato, si mantenne casta e nel giro di poco tempo decise di presentarsi all’erede al trono francese, Carlo VII, per offrirgli l’aiuto divino contro gli inglesi.


    Dopo averla sottoposta all’esame di vari teologi e soprattutto non avendo più nulla da perdere, Carlo decise di dare il suo assenso alla missione della fanciulla che in quel momento aveva appena 17 anni: la ragazza arrivò nell’assediata Orléans e col suo carisma convinse i soldati a cambiare stile di vita; mandò via le prostitute, vietò i saccheggi e le violenze, proibì la bestemmia ed impose la preghiera due volte al giorno sotto lo stesso gonfalone. Qui, agendo come un’invasata e completamente incurante dei rischi a cui andava incontro, la ragazza riuscì a trascinare la popolazione e l’esercito, che col suo esempio ritrovò vigore e riuscì a sconfiggere gli assedianti.
    Da lì cominciò l’avanzata dell’esercito francese, che, infervorato da Giovanna – e sfruttando la paura che ormai serpeggiava irrazionale tra gli inglesi –, riuscì a riconquistare molte delle posizioni perdute: clamorosa fu la vittoria nella battaglia di Patay (dove però la “pulzella”, com’era stata soprannominata, pianse a lungo per la violenza e il numero enorme di morti inglesi), mentre il vero trionfo si raggiunse a Reims con l’incoronazione di Carlo. Dopo quell’evento l’entusiasmo da parte della corte nei confronti delle iniziative della ragazza si raggelò, e lei si espose ad iniziative sempre più personali: durante una di queste fu catturata dai borgognoni, che poi la vendettero agli inglesi; i nemici non esitarono a processarla per eresia, in un procedimento minato dalle numerose irregolarità che la portò sul rogo nel maggio del 1431, a 19 anni d’età.
    domenica 24 settembre 2017

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    Nel 1420 la Francia era in preda ad intestine discordie, a guerre sanguinose che recavano nel suo seno gli stranieri. Epoca nella quale Giovanna d'Arco, ispirata e calda di sacro cristiano entusiasmo, si affacciava alla vita. Il 21 maggio dello stesso anno fu stipulato il trattato di Troyes con il quale Carlo VI di Francia piegava la schiena in favore di Enrico V re d'Inghilterra.
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    Nel 1410 era nata a Domremy da umili genitori una fanciulla che, non sappiamo quando consapevolmente, cercherà di cambiare il corso della storia. Durante l'infanzia guidava per i campi le greggi, vivendo nell'innocenza della campagna e vedendo con affanno le miserie di Francia. Nella sua estrema semplicità credette improvvisamente d'aver udito la voce degli angeli. Estremamente devota prestò fede a quelle parole udite senza preavviso, decidendo di confidarsi con un parroco. L'uomo di chiesa decise di mantenere una posizione neutrale, non incoraggiandola ma nemmeno denigrandola. La giovane, insoddisfatta del comportamento del parroco, decise di rivolgersi direttamente al governatore della contea della Champagne, una delle poche terre rimaste fedeli al delfino di Francia. L'ardore dimostrato spaventò l'alto funzionario che credette la giovane di Domremy una pazza e financo un'invasata dal demonio. Per nulla demoralizzata da quell'insuccesso, Giovanna si recò due volte presso il capitano di Vaucouleurs e questi, forse spinto dal consenso che Giovanna sapeva raccogliere tanto tra il popolo quanto tra i suoi uomini, mutò parere sul suo conto, sino a convincersi (non prima di averla sottoposta ad una sorta di esorcismo da parte di un curato del luogo, Jean Fournier) della sua buona fede e ad affidarle una scorta che l'accompagnasse al cospetto del sovrano, come la ragazza chiedeva. Il re avvisato dell'arrivo della giovinetta, chiamata Giovanna d'Arco, si confuse tra la folla dei cortigiani ma la ragazza appena ammessa all'udienza, senza aver mai visto il delfino, lo riconobbe e lo distinse inginocchiandosi al suo cospetto. Carlo e i suoi cortigiani, sorpresi profondamente da questo comportamento, credettero che fosse un'inviata da Dio per salvare il trono di Francia, o forse non avendo più nulla su cui sperare decisero d'affidarsi ad una ragazza che udiva le voci degli angeli. Non mancarono a corte, o quello che rimaneva, vecchie matrone, eccitate da frati e preti, che insinuarono il dubbio che Giovanna fosse una fattucchiera e come tale avesse stretto un patto con il demonio. La ragazza dovette provare la sua fede sincera e fu costretta a prove umilianti, nelle quali la sua innocenza fu gravemente offesa. Ma Giovanna non ricusò nessuna prova, e da tutte ne uscì vittoriosa e costrinse nel silenzio le voci delle detrattrici, ma non quelle che udiva nella sua mente. Ricevette dal Re lo stendardo e brandita la spada, nella mano destra, si pose alla testa delle scarse ed avvilite truppe francesi incamminandosi verso la Loira per liberare Orleans dall'assedio inglese. Il suo entusiasmo si trasferì come una scossa elettrica alle sue schiere, trasformando ogni soldato in un leone. Orleans fu liberata.
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    Il conte di Dunois, comandante dei difensori d'Orleans, uscì con le sue truppe per unirsi a Giovanna, che rinfrancata nello spirito e nel corpo riuscì a liberare altre terre nelle vicinanze della stessa città. I trionfi trovarono grande coronamento nella famosa vittoria riportata a Patay, dove non solo sconfisse l'esercito invasore ma riuscì a fare prigioniero il conte di Talbot, generale delle schiere nemiche. Il coraggio tornò a ravvivare i francesi e la corte di Carlo VII si allietò quando Giovanna arrivò a deporre gli allori mietuti ai piedi del sovrano, incitandolo a seguirla a Reims, luogo ove sarebbe stato incoronato Re di Francia.
    Il solo nome di Giovanna metteva ora paura agli inglesi, che precipitosamente si ritirarono sgombrando le città che occupavano, così Auxerre, Troyes, Chalon e Reims, che prima parteggiavano per i borgognoni, aprirono volontariamente le porte a Giovanna che precedeva l'arrivo di Carlo VII. Il 17 luglio 1429, dopo aver trascorso la notte in veglia di preghiera, il Delfino fece il suo ingresso nella cattedrale, tra la folla festante, insieme agli "ostaggi" della Santa Ampolla, quattro cavalieri incaricati di scortare la reliquia che dai tempi di Clodoveo era utilizzata per consacrare e incoronare il Re di Francia; pronunciò i giuramenti prescritti dinanzi all'officiante, l'arcivescovo Regnault de Chartres. Il ritornato Re di Francia fece coniare una medaglia per celebrare la sua consacrazione con la leggenda consilio firmata Dei.
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    Carlo VII iniziò a pensare che si fosse dischiusa la strada verso la capitale del regno, Parigi. Malgrado Giovanna d'Arco avesse mantenuto fede alle due promesse fatte al Re, di liberare Orleans dall'assedio inglese e di far consacrare lo stesso a Reims, e potesse tornare gloriosa nella sua piccola Domremy, si fece persuadere d'assediare Parigi.
    L'operazione bellica non riuscì e Giovanna ferita, mentre tentava di scalare le mura, dovette desistere divenendo oggetto di scherno e sarcasmo di molte persone che a corte erano suoi nemici.
    Il re e il conte di Dunois riuscirono a rinfrancarla e a persuaderla di dirigersi verso Compiègne, assediata dagli inglesi. I soldati francesi, visto il gran numero di soldati avversari, decisero d'abbandonare il terreno della battaglia lasciando Giovanna isolata ed alla mercé degli assedianti. Catturata viva fu consegnata a Giovanni di Lussemburgo. Il duca, in onta alla sua dignità, fece turpe mercato della giovinetta vendendola gli inglesi. Giovanna fu consegnata il 21 novembre 1430 a Crotoy, in qualità di prigioniera di guerra, e trasferita, tra novembre e dicembre, numerose volte in diverse piazzeforti, forse per timore di un colpo di mano dei francesi teso a liberarla. Il 23 dicembre dello stesso anno, sei mesi dopo la sua cattura dinanzi alle mura di Compiègne, Giovanna giunse infine a Rouen dove il duca di Belfort l'accusò d'eresia e di stregoneria.
    Il processo iniziò con l'accusa di stregoneria per trasformarsi inseguendo l'accusa d'eresia.
    La prima udienza si tenne pubblicamente il 21 febbraio 1431 nella cappella del Castello di Rouen. La carcerazione non aveva fiaccato lo spirito di Giovanna; sin dal principio delle udienze, richiesta di giurare su qualsiasi domanda, ella pretese, e ottenne, di limitare il proprio impegno a quanto concernesse la fede. Inoltre, alla domanda di Cauchon, vescovo francese fervente sostenitore degli interessi inglesi, di recitare il Padre Nostro rispose che lo avrebbe certamente fatto ma solo in confessione, modo sottile per ricordargli la sua veste di ecclesiastico.
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    Tra enormi patimenti, malattie ed impedimenti burocratici, finalmente fu pronunciata la sentenza con la quale fu condannata al rogo come eretica e fu abbandonata al braccio secolare il 16 maggio del 1431.
    Quasi fosse poca cosa il supplizio del rogo, le autorità vollero esacerbare la situazione ponendo Giovanna in una gabbia ed esponendola agli insulti della plebaglia, accorsa numerosa per udire il crepitar del fuoco.
    Dolorosamente periva la salvatrice della Francia, senza che il suo re nulla operasse per liberarla o scamparla all'immeritata fine.
    Nel 1456 papa Callisto III, al termine di una seconda inchiesta, dichiarerà nullo il processo.
    Nel 1909, sotto il pontificato di Pio X, sarà beatificata.
    Nel 1920, sotto Benedetto XV, Giovanna sarà canonizzata e proclamata patrona di Francia.
    Nel martirologio romano si legge che “a Rouen in Normandia santa Giovanna d'Arco, vergine, detta la pulzella d'Orleans, che, dopo aver combattuto coraggiosamente in difesa della patria, fu infine consegnata nelle mani dei nemici, condannata con iniquo processo e bruciata sul rogo”.
    Quali sono i presunti miracoli che hanno condotto la ragazza che sentiva le voci degli angeli alla santità?
    Per la beatificazione, furono riconosciute le guarigioni di due suore da ulcere incurabili e di una suora da una osteo-periostite cronica tubercolare. Per la canonizzazione furono riconosciute la guarigione istantanea e perfetta di altre due donne, una affetta da una malattia perforante la pianta del piede e l'altra da tubercolosi peritoneale e polmonare e da lesione organica dell'orifizio mitralico.
    Da qualunque angolazione leggiamo la storia, resterà per sempre immortale la gloria di Giovanna e l'infamia dei suoi carnefici.
     
  9. Ciao, sono nuova ho iniziato a giocare da qualche giorno, devo dire che sono felice di aver trovato una sezione italiana, volevo chiedervi come funzionano le tabelle dei controllori?
     
  10. olandiano

    olandiano User

    Che bello storia ancora...
     
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  11. embriaco

    embriaco User

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    Leggenda popolare trascritta da Italo Calvino
    Cola Pesce
    [​IMG] Disegno di G. Potente
    Una volta a Messina c’era una madre che aveva un figlio a nome Cola, che se ne stava a bagno nel mare mattina e sera. La madre a chiamarlo dalla riva: - Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei mica un pesce?
    E lui, a nuotare sempre più lontano. Alla povera madre veniva il torcibudella, a furia di gridare. Un giorno, la fece gridare tanto che la poveretta, quando non ne poté più di gridare, gli mandò una maledizione: - Cola! Che tu possa diventare un pesce!
    Si vede che quel giorno le porte del Cielo erano aperte, e la maledizione della madre andò a segno: in un momento, Cola diventò mezzo uomo mezzo pesce, con le dita palmate come un’anatra e la gola da rana. In terra Cola non ci tornò più e la madre se ne disperò tanto che dopo poco tempo morì.
    La voce che nel mare di Messina c’era uno mezzo uomo e mezzo pesce arrivò fino al Re; e il Re ordinò a tutti i marinai che chi vedeva Cola Pesce gli dicesse che il Re gli voleva parlare. Un giorno, un marinaio, andando in barca al largo, se lo vide passare vicino nuotando. - Cola! – gli disse. – C’è il Re di Messina che ti vuole parlare!
    E Cola Pesce subito nuotò verso il palazzo del Re. Il Re, al vederlo, gli fece buon viso. - Cola Pesce, – gli disse, – tu che sei così bravo nuotatore, dovresti fare un giro tutt’intorno alla Sicilia, e sapermi dire dov’è il mare più fondo e cosa ci si vede!
    Cola Pesce ubbidì e si mise a nuotare tutt’intorno alla Sicilia. Dopo un poco di tempo fu di ritorno. Raccontò che in fondo al mare aveva visto montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie, ma aveva avuto paura solo passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo.
    - E allora Messina su cos’è fabbricata? – chiese il Re. – Devi scendere giù a vedere dove poggia.
    Cola si tuffò e stette sott’acqua un giorno intero. Poi ritornò a galla e disse al Re: - Messina è fabbricata su uno scoglio, e questo scoglio poggia su tre colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.
    O Messina, Messina, Un dì sarai meschina!
    Il Re restò assai stupito, e volle portarsi Cola Pesce a Napoli per vedere il fondo dei vulcani. Cola scese giù e poi raccontò che aveva trovato prima l’acqua fredda, poi l’acqua calda e in certi punti c’erano anche sorgenti d’acqua dolce. Il Re non ci voleva credere e allora Cola si fece dare due bottiglie e gliene andò a riempire una d’acqua calda e una d’acqua dolce. Ma il Re aveva quel pensiero che non gli dava pace, che al Capo del Faro il mare era senza fondo. Riportò Cola Pesce a Messina e gli disse: - Cola, devi dirmi quant’è profondo il mare qui al Faro, più o meno.
    Cola calò giù e ci stette due giorni, e quando tornò sù disse che il fondo non l’aveva visto, perché c’era una colonna di fumo che usciva da sotto uno scoglio e intorbidava l’acqua. Il Re, che non ne poteva più dalla curiosità, disse: - Gettati dalla cima della Torre del Faro
    La Torre era proprio sulla punta del capo e nei tempi andati ci stava uno di guardia, e quando c’era la corrente che tirava suonava una tromba e issava una bandiera per avvisare i bastimenti che passassero al largo. Cola Pesce si tuffò da lassù in cima. Il Re ne aspettò due, ne aspettò tre, ma Cola non si rivedeva. Finalmente venne fuori, ma era pallido. - Che c’è, Cola? – chiese il Re.
    - C’è che sono morto di spavento, - disse Cola. - Ho visto un pesce, che solo nella bocca poteva entrarci intero un bastimento! Per non farmi inghiottire m son dovuto nascondere dietro una delle tre colonne che reggono Messina!
    Il Re stette a sentire a bocca aperta; ma quella maledetta curiosità di sapere quant’era profondo il Faro non gli era passata.
    E Cola: - No, Maestà, non mi tuffo più, ho paura.
    Visto che non riusciva a convincerlo, il re si levò la corona dal capo, tutta piena di pietre preziose, che abbagliavano lo sguardo, e la buttò in mare. - Va' a prenderla, Cola!
    - Cos’avete fatto, Maestà? La corona del Regno!
    - Una corona che non ce n’è altra al mondo, - disse il Re. – Cola, devi andarla a prendere!
    - Se voi così volete, Maestà,
    – disse Cola - scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a galla le lenticchie, è segno che io non torno più.
    Gli diedero le lenticchie, e Cola scese in mare.
    Aspetta, aspetta; dopo tanto aspettare, vennero a galla le lenticchie. Cola Pesce s’aspetta che ancora torni.

    Versione di Palermo raccolta da
    Italo Calvino

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    Leggenda popolare siciliana
    La leggenda di Cola Pesce
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    Nicola fu l'ultimo dei numerosi fratelli: viveva con la sua famiglia a Messina, in una capanna vicino al mare e fin da fanciullo prese dimestichezza con le onde.
    Quando crebbe e divenne un ragazzo svelto e muscoloso, la sua gioia era d'immergersi profondamente nell'acqua e, quando vi si trovava dentro, si meravigliava anche lui come non sentisse il bisogno di ritornare alla superficie se non dopo molto tempo. Poteva rimanere sott'acqua per ore e ore, e quando tornava su, raccontava alla madre quello che aveva visto: dimore sottomarine di città antichissime inghiottite dai flutti, grotte piene di meravigliose fosforescenze, lotte feroci di pesci giganti, foreste sconfinate di coralli e cosi via. La famiglia, a sentire queste meraviglie, lo prendeva per esaltato; ma, insistendo egli a restar fuori di casa, senza aiutare i suoi fratelli nella dura lotta per il pane, e vedendo che egli passava veramente il suo tempo dentro le onde e sotto il mare, come un altro se ne sarebbe andato a passeggiare per i campi, si preoccupò e cercava di scacciare quei pensieri strani dalla testa del figliuolo. Cola amava tanto il mare e per conseguenza voleva bene anche ai pesci: si disperava a vederne le ceste piene che portavano a casa i suoi fratelli, ed una volta che vi trovò dentro una murena ancora viva, corse a gettarla nel mare. Essendosi la madre accorta della cosa, lo rimbrotto acerbamente:– Bel mestiere che sai fare tu! Tuo padre e i tuoi fratelli faticano per prendere il pesce e tu lo ributti nel mare! Peccato mortale è questo, buttare via la roba del Signore. Se tu non ti ravvedi, possa anche tu diventare pesce.
    Quando i genitori rivolgono una grave parola aifigli, Iddio ascolta ed esaudisce. Così doveva succedere per Nicola. Sua madre tentò di tutto per distoglierlo dal mare, e credendolo stregato, si rivolse a santi uomini di religione. Ma i loro saggi consigli a nulla valsero. Cola seguitò a frequentare il mare e spesso restava lontano giorni e giorni, perché aveva trovato un modo assai comodo per fare lunghi viaggi senza fatica: si faceva ingoiare da certi grossi pesci ch'egli trovava nel mare profondo e, quando voleva, spaccava loro il ventre con un coltello e cosi si ritrovava fuori, pronto a seguitare le sue esplorazioni. Una volta egli tornò dal fondo recando alcune monete d'oro e cosi continuò per parecchio tempo, finché ebbe ricuperato il tesoro di un'antica nave affondata in quel luogo.
    La sua fama crebbe tanto, che quando venne a Messina l'imperatore Federico, questi volle conoscere immediatamente lo strano essere mezzo uomo e mezzo pesce.
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    Egli si trovava su di una nave al largo, quando Cola fu ammesso alla sua presenza.
    - Voglio esperimentare – gli disse l'Imperatore – quello che sai fare. getto questa coppa d'oro nel mare; tu riportamela.
    - Una cosa da niente, maestà,
    fece Cola, e si gettò elegantemente nelle onde.
    Di lì a poco egli tornò a galla con la coppa d'oro nella destra. Il sovrano fu cosi contento che regalò a Cola il prezioso oggetto e lo invitò a restare con lui.
    Un giorno gli disse: - Voglio sapere com'è fatto il fondo del mare e come vi poggia sopra l'isola di Sicilia.
    Cola s'immerse, stette via parecchio tempo; e quando tornò, informò l'Imperatore.
    – Maestà, – disse – tre sono le colonne su cui poggia la nostra isola: due sono intatte e forti, l'altra è vacillante, perché il fuoco la consuma, tra Catania e Messina.
    Il sovrano volle sapere com'era fatto questo fuoco e ne pretese un poco per poterlo vedere. Cola rispose che non poteva portar il fuoco nelle mani; ma il sovrano si sdegnò e minacciò oscuri castighi.
    - Confessalo, Cola, tu hai paura.
    - Io paura
    ? – ribatté il giovane – Anche il fuoco vi porterò. Tanto, una volta o l'altra, bisogna ben morire. Se vedrete salire alla superficie delle acque una macchia di sangue, vuol dire che non tornerò più su.
    Si gettò a capofitto nel mare, e la gente stava, ad attendere col cuore diviso tra la speranza e la paura. Dopo una lunga inutile attesa, si vide apparire una macchia di sangue.
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    Cola era disceso fino al fondo, dove l'acqua prende i riflessi del fuoco, e poi più avanti dove ribolle, ricacciando via tutti i pesci: che cosa successe laggiù? Non si sa: Cola non riapparve mai più.
    Qualcuno sostiene ch'egli non è morto e che è restato in fondo al mare, perché si era accorto che la terza colonna su cui poggia la Sicilia stava per crollare e la volle sostenere, cosi come la sostiene tuttora.
    Ci sono anche di quelli che dicono che Cola tornerà in terra quando fra gli uomini non vi sarà, nessuno che soffra per dolore o per castigo.
     
  12. embriaco

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  13. embriaco

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    T/n. ROMA.
    Committente: N.G.I. Navigazione Generale Italiana. Genova.
    Cantiere: Ansaldo, Genova - Sestri Ponente, no. 277
    Impostato: 30 novembre 1924.
    Varato: 26 febbraio 1926.
    Viaggio inaugurale: 21 settembre 1926.
    Dati tecnici.
    Lunghezza: 215,05 mt.
    Larghezza: 25,24 mt.
    Immersione: 10,86 mt.
    Stazza lorda: 32.583 tsl.
    Stazza netta: 19.358 tsl.
    Propulsione: 4 gruppi turboriduttori e 13 caldaie; quattro eliche; 44.000 cv.
    Velocità di servizio: 22,50 nodi.
    Velocità massima alle prove: 24,21 nodi.
    Capacità d’imbarco: 1.639 passeggeri in quattro classi.
    Prima classe: 375 passeggeri.
    Seconda classe: 236 passeggeri.
    classe Turistica: 312 passeggeri.
    Terza classe: 716 passeggeri.
    Equipaggio: 540 persone.


    CARRIERA.
    Giugno 1924: la Navigazione Generale Italiana sigla con i cantieri Ansaldo il contratto per la costruzione di due nuovi transatlantici, il ROMA e l’AUGUSTUS.
    30 Novembre 1924: il ROMA viene impostato nei cantieri Ansaldo di Sestri, Genova.
    26 Febbraio 1926: viene varato dopo un tentativo fallito il giorno prima a causa del gelo.
    21 Settembre 1926: parte per il viaggio inaugurale sulla rotta Genova - New York.
    2 Gennaio 1932: viene trasferito alla società “Italia - Flotte Riunite”, insieme a tutte le navi della N.G.I.
    Febbraio-Aprile 1934: subisce lavori di restyling che modificano la ricettività alberghiera, portandola da 1.639 a 1.328 passeggeri: 312 ospitati in Prima classe, 502 nella nuova classe Turistica ed infine 514 in Terza classe.
    Febbraio 1935: effettua due viaggi andata/ritorno sulla rotta Trieste - New York.
    Marzo 1936: lo scafo viene dipinto di bianco per renderlo più consono all’impiego crocieristico a cui la nave viene destinata ormai per la maggior parte dell’anno.
    29 Aprile 1940: effettua un viaggio andata/ritorno sulla rotta Trieste - New York.
    10 Giugno 1940: il giorno della dichiarazione di guerra italiana giunge a Napoli con 700 donne e bambini evacuati da Tripoli; posto in disarmo.
    12 Luglio 1941: viene requisito a Genova dalla Marina italiana e inviato alle locali Officine Allestimento e Riparazione Navi per essere convertito in nave ausiliaria.
    Novembre 1941: viene decisa la sua trasformazione in Portaerei.
    Febbraio 1942: Viene ribattezzata col nome di AQUILA. Intanto a bordo sono installati un nuovo apparato motore a turbina da 151.000 shp, per consentire velocità superiori ai 30 nodi, una nuova prora rinforzata e delle controcarene per la protezione subacquea.
    9 Settembre 1943: in seguito all’armistizio italiano, i lavoratori del cantiere tentano di affondarlo, per impedirne la caduta in mani naziste, ma senza successo. Ci saranno altri tentativi infruttuosi di sabotaggio, durante 1944 ed il 1945, sia dei partigiani che dei tedeschi.
    1946: iniziano gli studi per riconvertirlo in transatlantico, ma i costi sono proibitivi.
    1952: viene venduto per demolizione alla Spezia.


    La Navigazione Generale Italiana, come aveva già fatto con DUILIO e GIULIO CESARE, avrebbe segnato un nuovo primato dimensionale italiano varando il ROMA, che finalmente superava la soglia delle trentamila tonnellate di stazza e dei duecento metri in lunghezza. Dopo la positiva esperienza con il DUILIO, non ci furono dubbi sulla scelta del cantiere “Ansaldo” e il contratto venne firmato nel giugno 1924; l’opzione per la gemella AUGUSTUS venne confermata un anno più tardi, grazie ad uno speciale accordo con l’Ansaldo.
    Per far fronte alla costruzione del ROMA, impostato il 30 novembre 1924, il capitale sociale della “N.G.I.” dovette essere istantaneamente raddoppiato da 300 a 600 milioni di lire, con l’emissione di sei milioni di nuove azioni che portarono il capitale versato della società a ben 420 milioni. Difatti per vastità di sale, ricchezza delle decorazioni, dotazioni e servizi alberghieri, il costo degli allestimenti della classe di lusso sarebbe risultato insostenibile alla maggior parte delle compagnie armatrici: fortunatamente la “N.G.I.” poteva rivolgersi alla “Ducrot Mobili e Arti Decorative” di Palermo, di cui aveva il controllo finanziario. Nonostante questo fu trovato un ulteriore accordo al risparmio col cantiere sull’apparato motore (come sarebbe avvenuto anche per l’AUGUSTUS), accettando di installare, non senza forzature, molti macchinari preesistenti (tra cui le caldaie) destinati alla grande corazzata CRISTOFORO COLOMBO, il cui scafo in costruzione dovette essere demolito in ottemperanza agli accordi internazionali di Washington del 1922 contro il riarmo. Con quelle caldaie cilindriche che lavoravano a soli 15,5 kg/cmq (già nell’ottobre del 1927 la stessa “Ansaldo” varava l’AUSONIA, con caldaie da 28 kg/cmq) fu indispensabile dotare il ROMA di quattro eliche motrici per raggiungere una elevata velocità di punta, fondamentale per coprire la rotta Genova - New York in dieci giorni. Di fatto il Roma, con una velocità massima superiore ai 24 nodi, sarebbe rimasto il transatlantico più veloce fra il Mediterraneo ed il Nord America sino all’arrivo del REX e del CONTE DI SAVOIA.
    La solenne cerimonia del varo, tenutasi il 25 febbraio 1926, presenti il Ministro delle Comunicazioni Conte Costanzo Ciano e la moglie Carolina, madrina della nave, fu un episodio imbarazzante per armatori e costruttori: quel giorno non ci verso infatti di “convincere” la nave a lasciare lo scalo.. il freddo intenso aveva letteralmente congelato le invasature su cui poggiava il grande scafo. Soltanto il giorno successivo, dopo aver riscaldato a lungo lo scalo con serpentine di acqua bollente e vapore, si riuscì a sbloccarlo con la forza dei martinetti idraulici. I cronisti del tempo, con frasi arrovellate e ragionamenti al limite del contorto, cercano di “darla a bere” al lettore, convincendolo, ovviamente senza alcun successo, che sia cosa normale convocare le autorità e decine di migliaia di persone alle 14, benedire la nave alle 15, lanciarle sulla fiancata una bottiglia di spumante alle 17.. e tornare il mattino di buon’ora ed aspettare fino a metà pomeriggio per vedere la nave scendere in mare. Nell’Italia fascista errori e ritardi, pur comprensibili, non sono tollerati, fino a rasentare il ridicolo: il Ministro Costanzo Ciano dimostrò uno spiccato senso dell’umorismo, tanto che una foto del tempo lo ritrae mentre dal palco con una mano “spinge” lo scafo e con l’altra, ridendo di gusto, fa cenno agli altri invitati a dargli una mano. Dopo “l’avventuroso” varo prende il via la fase d’allestimento, portata a termine a tempo di record: il 21 settembre del 1926 la più grande e veloce nave di linea italiana fino allora costruita lasciava il capoluogo ligure per il suo viaggio inaugurale a New York nel tripudio generale. La Navigazione Generale Italiana celebrò l’evento con numeroso pubblicazioni pubblicitarie dedicate alla nave. La più bella e originale di tutte resta molto probabilmente quella realizzata dalla “Stamperia d’arte Richter” di Napoli, che sfoggia in copertina la testa della Dea Roma in peltro e che era riservata ai passeggeri della classe di lusso. L’entrata in servizio della nuova ammiraglia, e lo era non solo della compagnia armatrice ma soprattutto della marina mercantile italiana, in un periodo di feroce competizione per dimensioni e prestazioni e di corsa sfrenata al lusso, venne accompagnata da una generosissima campagna pubblicitaria che celebrava in termini altisonanti quella che veniva chiamata “il Monumento del Mare”. Il nome della città eterna che portava e la “romanità” propugnata dal governo erano ben rappresentate dal Salone Centrale della nave, un ambiente sontuoso ma freddo, austero e molto formale, forse poco consono ad una nave, dominato da una grande statua raffigurante la Dea Roma. opera di Angelo Zanelli ed esatta replica di quella dell’Altare della Patria. In effetti lo stile adottato dallo “Studio Ducrot” prosegue nella falsa riga delle “ricostruzioni storiche”, proponendo allestimenti storicistici ormai superati, se pur splendidi anche dal punto di vista del lavoro artigianale, mentre in Francia e Germania si è impressa una svolta profonda agli interni navali, utilizzando i moderni e razionali stili “Art Decò” e “Bauhaus”. Resta comunque da ricordare che, nonostante le critiche levatesi dalla stampa specializzata riguardo ai lussuosi ma freddi ed antiquati interni della classe di lusso, il pubblico internazionale, poco incline ai radicali stravolgimenti di gusto, continuava a gradire ed apprezzare questo genere d’arredi d’epoca.
    Certamente il ROMA era una nave imponente, la prima nave italiana a piazzarsi nella classifica dei grandi “Liners”: solo il Majestic, l’Olympic, il Leviathan, l’Aquitania, il Berengaria ed il Paris lo superano in dimensioni (ma fra queste navi solo il Paris è stato varato nel dopoguerra). Imponente ma “vecchia” del design, infatti il ROMA non si libererà dall’essere il prodotto di una progettazione già antiquata e questo si può dire anche relativamente alle sue macchine: quattro gruppi turboriduttori a singola demoltiplicazione, ognuno formato da due turbine Parsons, ad alta e bassa pressione. Apparentemente in continuità con la sagoma del DUILIO, in realtà ne rappresenta un’involuzione, un ritorno al passato: si abbandona la poppa a incrociatore per quella più tradizionale a clipper, mentre le sovrastrutture ritornano basse, sicuramente meno massicce e pronunciate rispetto a quelle adottate per il DUILIO; nonostante questo la linea del ROMA appare comunque molto bella, gradevole all’occhio, slanciata ed elegante al pari di quella di uno yacht di lusso.
    Se l’anno precedente il “Lloyd Sabaudo” aveva realizzato a bordo del CONTE BIANCAMANO la prima classe “Turistica” mai apparsa sul mare, un grande merito che va riconosciuto alla Navigazione Generale Italiana, con l’entrata in linea del ROMA, fu la meravigliosa Terza classe: finalmente scomparivano del tutto i cameroni per gli emigranti per lasciar posto a confortevoli cabine, la maggior parte delle quali a due o quattro letti, tutte dotate di lavabo con acqua corrente, numerose sale pubbliche arredate con buon gusto, moderni servizi d’intrattenimento, un ottima cucina e varietà di cibi offerta dal menù “a-la-carte”. Un trattamento di un certo livello per chi, in condizioni economiche non certo agiate, era costretto a lasciare la sua terra per sopravvivere e che appariva certamente rivoluzionario rispetto a quanto era stato finora offerto agli emigranti, principale fonte d’introito degli armatori di tutto il mondo.
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    Manifesto pubblicitario commissionato dalla N.G.I. nell'estate
    del 1926 per celebrare l'entrata in servizio del ROMA.
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    Lo scafo del ROMA pronto al varo all'inizio di febbraio del 1926.
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    Con le macchine sotto pressione nel Mar Ligure.
    [​IMG]Una bella immagine del ROMA ripreso in Nord Atlantico durante il viaggio inaugurale diretto a New York.
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    Il ROMA in navigazione alla fine degli anni '20.
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    Il ROMA a fianco dell'AUGUSTUS e del DUILIO
    ormeggiati in porto a Genova.
     
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  14. olandiano

    olandiano User

    :)Menomale ci sei tu embri, cosi imparo qualcosa di bello. Grazie.
     
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  15. olandiano

    olandiano User

    Metto io il tabella qua, embri forse non posso fare login...

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  16. Che bello....bravo..:D
     
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  17. olandiano

    olandiano User

    Ma questo e il lavoro di embri...:)


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  18. embriaco

    embriaco User

    1. [​IMG]
      olandiano

      Ma questo e il lavoro di embri...:)

    olandiano es un mentiroso....:p:p:p:p:p:p
    todo el trabajo lo hace el.....despues jo solo pongo la imagen quando tengo gana......:):):):):):):):)
     
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  19. olandiano

    olandiano User

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    embriacoForum Inhabitant

    embriaco heeft gelijk, ....het is niet zijn werk....maar hij vindt het leuk om te doen. En als hij geen zin heeft
    dan doe ik het.
    En hij doet dat voor de Italiaanse en buitenlandse spelers die hier langs komen.
    We zien hem niet,maar hij is er altijd, voor iedereen. Onze Embripedia...:D
     
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  20. embriaco

    embriaco User

    veel beter dan je niet kan zien .....
    zelfs de lelijke is er een limiet .....
    :D:D:D:D:D:D:D
     
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