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Discussion in 'Sezione Italiana' started by Air-Base, Apr 3, 2017.

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  1. embriaco

    embriaco User

    71
    Geppo, Braccio di Ferro, Soldino e gli altri fumetti indimenticati (anche se non se li incoola più nessuno) della Bianconi/Grafica Editoriale Metro

    [​IMG]Erano i fumetti tipici da consumare d'estate in dosi generose. Erano il piatto forte, ma anche quello debole e pure quello così-così, dipende, delle buste sorpresa. La ragion d'essere, assieme a quei vecchi numeri del Comandante Mark che non voleva più nessuno, dei panini da edicola, tre fumetti incellophanati al prezzo di uno. Quelli che il fumetto al centro era sempre qualche sola pazzesca. Erano i meravigliosi fumetti della casa editrice di Renato Bianconi (prima Edizioni Bianconi, poi Grafica Editoriale Metro), un po' a colori e un po' no, e dalla fine degli anni 70 fin giù nel tubo colorato del decennio successivo, ne hai letti - letteralmente - centinaia. Poi a un certo punto sono scomparsi dappertutto, i fumetti Bianconi/Metro. Tranne che dalle buste sorprese: ché ancora ce ne sono migliaia inesplose sparse pericolosamente per il Paese, nelle edicole di frontiera. E dei fumetti Bianconi/Metro non sembra ricordarsi più nessuno. E questo lo trovi ingiusto, male, jubentus. E tocca rimediare […]
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    Nel rigoroso ordine analfabetico con cui li elenca uichipìdia (con l'aggiunta di qualche serie di cui non si parla NEANCHE lì):
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    Braccio di ferro
    Il più importante, il più famoso, probabilmente il più più dei giornalini Bianconi/Metro. Vent'anni di storie spesso esilaranti e completamente autoctone, realizzate da autori ai quali oggi non sapresti assegnare un nome, ma uichipìdia invece sì, lei lo saprebbe: Dossi, Colantuoni, Sangalli.
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    I fumetti di Braccio di Ferro erano infinitamente più fighi dei cartoni, c'avevano più personaggi, e presidiavano le edicole con decine di pubblicazioni tutte con titoli diversi: Braccio di Ferro, Popeye, Braccio Story, Braccio Serie Oro, Braccio Mese, Trinchetto, Poldo Gran Braccio, Tutto Braccio, Super Braccio, Braccio Spaccio. Ma quest'ultima forse te la sei inventata.
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    Geppo
    Il diavolo buono, creato da Giulio Chierchini per una storia di Trottolino negli anni Cinquanta e ripreso dalla Bianconi a partire dal '61. Fidanzato con Fiammetta, amico del serpente Salvatore, perennemente preso a calci in culo da un inviperito Satana. Negli anni l'evoluzione del personaggio ne fece un po' Grisù il draghetto, molto il Ragionier Fantozzi.
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    Soldino
    Uno dei tanti protagonisti Bianconi assonanti con Topolino, Soldino era il nipote di Nonna Abelarda, c'aveva un regno tutto suo ma senza una lira, ed era invulnerabile, tranne che per un un callo sul tallone sinistro.
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    Trottolino
    Come sopra, solo che qui al posto di un bambino c'è uno scoiattolo casinista ispirato a Paperino, alle prese con, uh, il bisbetico "Zio Trottolone". E vabbé. Uichipìdia sottolinea però l'importanza storica del personaggio, primo fumetto nel '52 delle Edizioni Il Ponte, poi Edizioni Bianconi, infine Grafica Editoriale Metro.
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    Provolino
    Provolino e la sua faccia da pirla c'hanno un loro background di un certo spessore. Il personaggio nasce infatti come pupazzo animato da un Raffaele Pisu ventriloquo nel programma TV "Ma che Domenica Amici" del '68. Leggi che all'inizio della sua carriera, Provolino era un fumetto di satira politica e sociale - sì, addirittura - connotazione poi via via persa per strada col passare del tempo. Nel fumetto appariva lo stesso Pisu, chiamato da Provolino "Lele".
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    Come Rockfeller, solo che Pisu era bravo e Byron José Louis Moreno un pirla e un incapace
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    Volpetto
    Anche Volpetto era nipote di Nonna Abelarda. Ché questa nonna Abelarda, oltre ai guanti bucati da barbona tipo video di Madonna dell'86, c'aveva pure una grande famiglia. Mai letta una storia di Volpetto, anche perché…
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    Pipo
    …a un certo punto Volpetto è sparito. Anzi, no: è diventato Pipo.(soprattutto perché si parla anche della zozzoparodia del Ragionier Pancozzi, innamorato della signorina Vulvani*), a un tratto la Bianconi ha preso a ripubblicare tutte le storie di Volpetto, sostituendo a tradimento il canide eponimo con il bambino Pipo. Calando un velo pietoso sul titolo da tarocco cinese del fumetto, Super Pipo, aggiungeremo che su uichipìdia sembrerebbe esserci una pagina dedicata al personaggio. Ma quando ci clicchi sopra ti esce questo:
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    L'immagine edificante di una giovane ubriacona
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    Nonna Abelarda
    La rissosissima vecchia, ovviamente, c'aveva anche un fumetto tutto suo, in cui menava gli schiaffi pesanti in faccia alla gente e soprattutto a nemici tipo Malvagik. Perché si sappia, Abelarda venne creata da Giulio Chierchini e dal celebre autore disneyano Giovanni Battista Carpi.
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    Pinocchio
    Di questo, del Pinocchio Bianconi, conservi solo ricordi vaghi e non particolarmente significativi. Giovani? Qualcuno ne ha memoria?
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    Tarzanetto
    Come sopra. Ma hai idea che il vecchio Tarzanetto non sia arrivato a vederle le edicole di fine anni 70/primi anni 80.
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    Felix
    Altro personaggio su licenza, il Felix the Cat dei cartoni strani degli anni Venti e di quelli zingari degli anni Sessanta, il Felix che Todd McFarlane nel suo essere disegnatore insulso infilava pure sulle mutande di Peter Parker, c'aveva un fumetto tutto suo. E neanche da buttare via.
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    Polibio
    Che era lo storico greco che ci ha parlato della Seconda e della Terza Guerra Punica. Non che questo c'entri una mazza con l'omonimo fumetto Bianconi/Metro, ma tu Polibio non l'hai mai letto, quindi una cosa vale l'altra. Chi vuole, ovviamente, può confessare il suo amore per Polibio nei commenti e dircene di più. Del fumetto, non dello storico di Megalopoli.
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    Checco, Chico, Gipo, Astor e Bongo
    Questi cinque proprio non sapresti. Di un paio (Gipo e Checco) è difficile recuperare persino una foto decente. A ogni modo, Astor doveva essere questa serie sui piccoli di una famiglia di mostri di Frankenstein
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    Chico uno dei cugini di Daffy Duck
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    e Bongo una qualche versione a fumetti del Bingo Bongo di Celentano(e se non lo era, a un certo punto lo è diventato. Cover del '99, del compianto Tiberio Colantuoni)
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    Mago Merlotto
    Ti sei sempre chiesto, sin da ragazzino, quanto cacchio dovesse essere faticoso per gli uccelli sbattere le ali per ore e, durante le migrazioni, per giorni e giorni. E, niente, c'era questa storia di Mago Merlotto (di sicuro comprimario su Geppo, ma forse protagonista anche di qualche albo tutto suo) in cui si trasformava in un uccello e si faceva una sudata pazzesca, ripetendo a nastro il suo "Orpolina!". Tutto qui. Ci tenevi a dirlo.
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    Tom & Jerry
    Tom & Jerry ti sono sempre stati sul cazzo. Possiamo dirlo? Massì, diciamolo. I cartoni, i fumetti, qualsiasi cosa. Silvestro e Titti? Ok (sotto i cinque anni). Wile E. Coyote e Beep-Beep? Ottimo. Dick Dastardly, Muttley e il piccione viaggiatore? Benone. Ma il gatto, il topo e la mami di colore? Un gatto e un topo che a un certo punto, in una serie animata, diventano pure amici? Ma per piacere. Questo per dire che gli albi di Tom & Jerry, anche se le buste sorpresa continuavano a sputartene in quantità industriale, non te li sei mai incoolati di striscio.
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    Saruzzo
    E chiudiamo con il grande Saruzzo, il bambino siciliano come il giovanee Ferruccio, però munito di coppola, giusto per non farsi mancare alcun luogo comune. Saruzzo, esattamente come Provolino, nasce in realtà pupazzo del compianto Franco Franchi (nel programma Qui lo dico e qui lo nego, '78), e solo in un secondo momento diventa fumetto.
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    L'hai già detto che José Louis Moreno era un pirla e un incapace? Sì, l'hai già detto.
     
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  2. olandiano

    olandiano User

    Troppo bello da leggere tutto, ho bisogno un po di tempo in piu, perche sono straniero...:D ma mi piace tanto...Grazie ancora embri...
     
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  3. embriaco

    embriaco User

    Piperita Patty
    Nella storia di Schulz c'è anche la striscia mai nata.
    Per circa un anno macinò l'idea di una serie di libri per bambini completamente separati dai Peanuts. Riteneva che il personaggio di Peppermint Patty (da noi Piperita Patty) fosse un soggetto così forte da avere una strip tutta per se.

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    Il nome Peppermint Patty fu ispirato da un piatto di dolciumi con dei biscotti alla menta che stazionava nel suo soggiorno. La nuova serie ritardava a venire al mondo per il pesante calendario di impegni. Schulz decise di utilizzare comunque il nome, che a lui piaceva moltissimo, per un nuovo personaggio da aggiungere ai Peanuts. La personalità di Piperita fu proprio creata per adattarsi al nome.
    Il ricorso a personaggi dalla forte individualità è tipico della filosofia creativa di Schulz, come di tanti altri autori. Il cast della striscia non è formato solo da burattini che fanno quello che l'autore decide volta per volta. Sono invece i personaggi, con la loro natura e personalità così forti e ben delineati, a fornire idee all'autore. Basta dargli uno spunto, un contesto, agiscono e parlano da soli, come molti cartoonist sanno. E i lettori reagiscono con le emozioni ai personaggi come se fossero reali.
    Sotto l'aspetto del carattere Peppermint Patty è un colosso. Esordisce nella striscia il 22 agosto 1966. È stata definita un anti Barbie ma è ancora qualcosa di più nella storia delle comic strip. Se pensate a tutte le figure femminili apparse nei fumetti troverete una serie incredibile di cliché sui quali i cartoonist hanno giocato con allegria. Paperina, la eterna e suscettibile fidanzata per bene, Blondie, bella e elegante, lo stereotipo della donna della vita, la coppia bionda pin-up e grassona virago di Hart, Flo, la moglie pallosa e casalinga di Andy Capp, l'arrivista e scalatrice sociale Petronilla, moglie di Arcibaldo, miss Buxley, la segretaria bona con minigonne mozzafiato del generale Halftrack in Beetle Bailey, l'inarrivabile Brandy di Liberty Meadows. Mamme, angeli del focolare, donne fatali, sexy, giunoniche, sciacquette, oche, la lista è molto lunga. Tutte proiezioni, stereotipi, classificazioni originate nell'immaginario maschile (con qualche eccezione in Oliva di Braccio di Ferro, Mafalda e Doonesbury). Qualcuno dirà: Piperita è il prototipo della maschiaccia. Vero, è bravissima nello sport, tira cazzotti e gioca con i maschi. È trasandata, gira con i sandaloni Birkenstock, ha capelli a spaghetto e non è leziosa come le altre bambine dei Peanuts. Ma è riduttivo confinarla nello schema della maschiaccia. È stupendamente fuori catalogo, come tante altre donne vere che rifiutano di aderire a un prototipo, e in questo sta la sua grandezza. Forte e cocciuta ma anche con mille difetti, debolezze, incertezze e contraddizioni. Fraintende tutto quello che succede intorno. È l'unica a non capire che quel buffo bambino che gioca a baseball è in realtà un bracchetto. Solo lei tiene in considerazione Charlie Brown, l'unica a chiamarlo per nome, confidenzialmente Chuck (Ciccio nella traduzione italiana). Forse ne è inconsapevolmente innamorata perché pratica come è, non cerca principi azzurri. Non lo può sapere, confusa com'è su tutto. È una leader ma detesta il potere tanto che niente la manda in bestia come l'appellativo "sir" ("capo" nella traduzione italiana) usato sempre da Marcie, la fedelissima compagna, occhialuta prima della classe. A scuola è un disastro, s'annoia, sbaglia tutto e si addormenta. Nelle relazioni sociali va ancora peggio, le gaffe sono sempre in agguato con lei.
    Antagonista, ma senza alcunché di politico, non scapperà con gli hippies e non brucerà mai reggiseni. Forse da grande si darà un'aggiustata ai capelli (l'unica volta che ci ha provato con le treccine si è messo a piovere) e magari metterà anche un filo di trucco, ma di una cosa siamo sicuri: il conformismo non la piegherà mai.

    Dopo di lei molte altre Piperite sono arrivate, qualcuna si è messa a disegnare e raccontare il mondo dalla sua prospettiva (Linda Barry, apparsa su Linus nei mesi scorsi). Qualcuna anche dalle nostre parti, ridacchiando con disinvoltura su tacchi a spillo, assorbenti, fidanzati e cerette (vero Deco e Ciemmerre?).
    Nessuna però uguale al modello, perché da Piperita in poi un modello non c'è più.(Non osate pensare che questo potrebbe essere un post buono per l'otto marzo, ovvero un peana femminista . Quella data non esiste per Piperita Patty, vi tirerebbe un pugno solo a menzionarla)
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    Nome d'arte scelto da Schulz per il capitano della squadra di baseball che sconfigge in modo impietoso, e con regolarità, quella guidata da Charlie Brown. Il vero nome di Piperita Patty sarebbe infatti Patricia Reichardt, ma il soprannome è più che azzeccato per questa specie di maschiaccio che, a differenza delle “solite” ragazzine, va male a scuola e usa un abbigliamento disinvolto, a partire dai sandali fuori ordinanza in qualsiasi periodo dell'anno. La durezza apparente si trasforma in dolcezza quando parla con Charlie Brown (chiamandolo confidenzialmente “Ciccio”) per chiedergli conferme sulla propria femminilità. E Charlie Brown, regolarmente, non riesce a rassicurarla. Strenuamente convinta che Snoopy non sia un cane, ma un bambino buffo e col nasone, continua a invitarlo a feste e party sulla spiaggia finendo poi con il picchiare gli altri ragazzini quando esagerano nel deriderla per la strana scelta. La sua amica del cuore è la secchiona Marcie, che però non riesce ad aiutarla ad avere un rendimento scolastico decente.

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    Piperita Patty

    ...dopo un vero c'è sempre un falso, poi un altro falso... perché non te lo aspetteresti!
    Ha un pessimo rapporto con l’autorità costituita, Patricia Reichardt, meglio conosciuta come Piperita Patty (il nomignolo deriva da un gioco di parole su un biscotto alla menta americano): lentiggini, capelli a spaghetto che sembrano un ciuffo d’erba impazzito, aspetto trasandato, sandaloni da hippy, perseguitata da una eterna pioggia che bagna i suoi compiti pieni di poesia e di errori.
    Eccelle in ogni sport in cui si cimenta: è un ciclone a football ed ha una sua squadra di baseball che, a differenza di quella di Charlie Brown, non perde mai.
    O quasi mai: una sola volta ha invitato “Ciccio” a giocare nella sua squadra, e tanto è bastato per ribaltare il punteggio da un perentorio trionfale 50-0 ad un frustrante e disastroso 50-51.
    E’ orfana di madre e vive sola col padre, che la chiama gemma rara e che a causa dei turni di lavoro è costretto a lasciarla sola a casa durante la notte.
    Per questa ragione Piperita Patty dorme poco, ma in compenso si addormenta spesso a lezione.
    A scuola è un vero disastro: non solo passa la maggiorparte del tempo a dormire sul banco, ma si inventa scuse sempre nuove per non fare i compiti e non riesce mai a rispondere esattamente ai test vero-falso in classe, perché vi si cimenta sempre senza aver neanche letto un rigo della lezione però utilizza un meticoloso approccio basato su complessi calcoli statistico-matematici.
    E’ l’esatto opposto della sua amica del cuore, l’occhialuta Marcie, la prima della classe che nutre una vera e propria adorazione nei suoi confronti: la segue continuamente come un’ombra e la chiama capo anche se lei non vuole perchè non sopporta il potere, neanche il suo, e non vuole vivere nell’adulazione.
    Piperita Patty crede che Snoopy sia “un buffo bambino con un grosso naso” ed è segretamente innamorata di Charlie Brown (per lei Ciccio) ma non lo ammette neanche a se stessa.
    Purtroppo anche il suo è un amore incorrisposto, perché Charlie Brown ha perso la testa per la ragazzina dai capelli rossi, una creatura talmente perfetta che persino Piperita Patty, quando la vede, non riesce a trattenere le lacrime.
     
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  4. olandiano

    olandiano User

    Mai sentito questa nome Piperita Patty,ancora qualcosa in segnato, grazie.
     
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  5. embriaco

    embriaco User

    LA STRIP

    Calvin and Hobbes è una striscia a fumetti realizzata dallo statunitense Bill Watterson, uscita sui quotidiani statunitensi dal 18 novembre 1985 al 31 dicembre 1995, data in cui l’autore smise di disegnare. Ambientata negli Stati Uniti contemporanei, la striscia è incentrata sulle avventure di Calvin, un bambino di sei anni pestifero e fantasioso, e di Hobbes, la sua tigre di pezza che per tutti è un semplice pupazzo, ma che per Calvin è un fedele compagno di avventure e peripezie quotidiane.
    Calvin

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    Il suo nome si ispira a Calvino, il teologo del XVI secolo che credeva nella predestinazione. Molti suppongono che Calvin sia ispirato a un mio figlio, o a ricordi particolareggiati della mia infanzia. In effetti non ho figli ed ero un bambino piuttosto ubbidiente... Quasi l’opposto di Calvin. Una delle ragioni per cui trovo divertente creare il personaggio Calvin è che spesso non sono affatto d’accordo con lui. Il lato autobiografico di Calvin risiede nel fatto che lui la pensa nel mio stesso modo su tanti argomenti, ma in questo lui riflette il me adulto, non quello bambino. Molte lotte di Calvin sono mie metafore personali. Sospetto che la maggior parte di noi invecchi senza crescere e che in fondo a ogni adulto (a volte nemmeno tanto in fondo) ci sia un moccioso che vuole tutto a suo modo. Uso Calvin come sfogo della mia immaturità, come un modo di restare curioso nella natura, come un modo di ridicolizzare le mie ossessioni e come un modo di commentare la natura umana. Non vorrei Calvin in casa, ma sulla carta mi aiuta a riordinarmi la vita e a capirla. Bill Watterson, tratto da “Dieci anni di Calvin and Hobbes”, 1995, © Comix
    Hobbes

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    Come il filosofo del XVII secolo con bassa considerazione della natura umana. Hobbes ha la dignità paziente e il buonsenso di molti animali che ho conosciuto. È stato ispirato moltissimo da uno dei nostri gatti, un soriano grigio che si chiamava Sprite. Sprite non solo forniva il corpo allungato e le caratteristiche del muso di Hobbes, ma era anche il modello della sua personalità. Era di buon carattere, intelligente, amichevole ed entusiasta nel modo con cui si acquattava per poi balzare sull’obiettivo. Sprite suggeriva l’idea di Hobbes che accoglie Calvin alla porta a mezz’aria ad alta velocità. Nella maggior parte degli animali dei fumetti l’umorismo deriva dal loro comportamento umano. Naturalmente Hobbes sta eretto e parla, ma io cerco di preservare il suo lato felicno, sia nel suo contegno che nelle sue attitudini. La sua riservatezza e il suo tatto mi sembrano molto gatteschi, assieme al suo orgoglio a malapena contenuto di non essere umano. Come Calvin, spesso preferisco la compagnia di animali a quella delle persone, e Hobbes è il mio concetto di amico ideale. La cosiddetta “trovata” del mio fumetto (le due versioni di Hobbes) è stata male interpretata. Non penso a Hobbes come una bambola che prenda miracolosamente vita quando in zona c’è Calvin. Né penso a Hobbes come il prodotto dell’immaginaziona di Calvin. In realtà non m’interessa la natura di Hobbes e ogni storia trova modo di evitare di risolvere la faccenda. Calvin vede Hobbes in un certo modo e tutti gli altri lo vedono in un altro modo. Io mostro due facce della realtà e ognuno interpreta a suo modo quello che vede. Credo che sia così che vada la vita. Nessuno di noi vede il mondo esattamente nello stesso modo, e io mi limito a disegnarlo letteralmente nel fumetto. Hobbes riguarda più la natura soggettiva della realtà piuttosto che bambolotti che prendono vita.
    Bill Watterson, tratto da “Dieci anni di Calvin and Hobbes”, 1995, © Comix
    I genitori di Calvin

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    Non ho mai dato loro un nome perché, per quel che riguarda il fumetto, sono importanti soltanto come madre e padre di Calvin. Si dice in giro che il papà di Calvin sia un mio autoritratto. Tutti i miei personaggi hanno qualcosa di mio, così in un certo senso è vero, ma il papà di Calvin è anche in parte una satira di mio padre. Tutte le mie strip su come si patisca l’“irrobustimento del carattere” sono di solito la trascrizione parola per parola delle spiegazioni di mio padre sul perché eravamo tutti congelati, esausti, affamati e persi facendo del camping. Queste cose sono un po’ più divertenti venticinque anni dopo. la madre di Calvin è la dispensatrice quotidiana di disciplina, così non credo che la vediamo nel suo lato migliore. Mi spiace che il fumetto mostri più che altro solo il suo lato impaziente, ma cerco di alludere ad altri aspetti della sua personalità e ai suoi interessi mostrando quello che sta facendo quando Calvin si precipita dentro. I genitori di Calvin sono stati criticati dai lettori per essere poco affettuosi e inutilmente sarcastici (il papà ha ricordato che lui avrebbe voluto un cane, invece). Ma io credo che in un fumetto sia insolito concentrare gli aspetti esasperanti di un bambino senza un sacco di abbracci e di sentimentalismo per indorare la pillola. Di solito vediamo i genitori quando reagiscono a Calvin, così ho cercato di farne delle “spalle” realistiche, con un ragionevole senso dell’umorismo sul fatto di avere un bambino come lui. Credo che facciano un lavoro migliore di quanto non farei io.
    Bill Watterson, tratto da “Dieci anni di Calvin and Hobbes”, 1995, © Comix
    Susie Derkins

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    Susie è sincera, seria e in gamba... Il tipo di ragazza che mi attraeva a scuola e che alla fine ho sposato. “Derkins” è il soprannome del bracco della famiglia di mia moglie. Nelle prime strip il rapporto di Susie con Calvin andava sul pesante, basato com’era sul conflitto amore-odio, e mi ci è voluto del tempo per smorzarlo. Sospetto che Calvin abbia per lei una cotta moderata, che cerca di esprimere scocciandola in continuazione, ma Susie è un po’ snervat e disgustata dalle bizzarrie di Calvin, che per questo è incoraggiato a essere anche più bizzarro, e così c’è una buona dinamica. Nessuno dei due capisce del tutto quello che succede loro, il che è probabilmente vero in tutte le relazioni. A volte immagino che un fumetto che rappresenti il punto di vista di Susie sarebbe interessante, e dopo tanti fumetti sui bambini, uno su una bambina, disegnato da una donna sarebbe grande.
    Bill Watterson, tratto da “Dieci anni di Calvin and Hobbes”, 1995, © Comix
    La signora Vermoni (Miss Wormwood)

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    Come qualche lettore avrà indovinato, il suo nome si ispira all’apprendita diavolo ne Le lettere di Berlicche (The Screwtape Letters) di C.S. Lewis. Ho un sacco di simpatia per la signora Vermoni. Da qualche accenno si capisce che sta per andare in pensione, che fuma troppo e che deve fare molte cure mediche. Penso che creda seriamente nel valore dell’educazione, così è inutile dure che è una persona infelice.
    Bill Watterson, tratto da “Dieci anni di Calvin and Hobbes”, 1995, © Comix
    Sancio (Moe)

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    Sancio rappresenta ogni puzzone che ho conosciuto. È grosso, tonto, brutto e crudele. Mi ricordo che la scuola era piena di idioti come lui. Credo che si riproducano negli angoli umidi degli spogliatoi.
    Bill Watterson, tratto da “Dieci anni di Calvin and Hobbes”, 1995, © Comix
    Rosalyn

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    Probabilmente l’unica persona temuta da Calvin è la sua baby-sitter. All’nizio l’avevo messa in una tavola domenicale, non considerandola un personaggio regolare, ma il suo intimidire Calvin mi sorprese, così ogni tanto la faccio ancora apparire. Sembra che Rosalyn atterrisca anche i genitori di Calvin, sfruttando la loro disperata voglia di uscire di casa per ottenere aumenti e denaro anticipato. Il rapporto tra Rosalyn e Calvin è esclusivamente a una dimensione, così che mi diventa sempre più difficile scrivere storie con la baby-sitter. Comunque per essere un’aggiunta successiva al fumetto, ha funzionato proprio bene.

    “Calvin & Hobbes” hanno trent’anni

    di Antonio Russo –
    Breve storia e celebrazione – per cultori e inesperti – di una delle strisce a fumetti più popolari e rimpiante di sempre, a 30 anni dall'uscita della prima
    [​IMG] (Il Post)

    Il 18 novembre 1985, esattamente trent’anni fa, tra le strisce giornaliere di 35 quotidiani statunitensi fu pubblicata per la prima volta una striscia di quattro vignette a fumetti di uno sconosciuto disegnatore ventisettenne di Chagrin Falls, in Ohio, che per per mantenersi lavorava da impiegato in un’agenzia pubblicitaria. La striscia si intitolava Calvin & Hobbes e il suo autore, Bill Watterson, appassionato di strisce a fumetti, già da diversi anni nel suo tempo libero produceva disegni che inviava con insistenza, sperando in una pubblicazione, alle varie agenzie di stampa (le comic strip syndicate, le organizzazioni che negli Stati Uniti gestiscono la vendita dei diritti delle strisce ai quotidiani). In risposta a uno di quei tentativi, un agente aveva suggerito a Watterson di lasciar perdere i precedenti soggetti e concentrarsi su un personaggio secondario di una sua striscia: un bambino di sei anni con una tigre di pezza.
    In quella prima striscia di Calvin & Hobbes pubblicata il 18 novembre 1985 compariva un bambino che descriveva a suo padre, con un certo autocompiacimento, il funzionamento di una “trappola per tigri” costruita usando una corda e un panino al tonno; e nell’ultima vignetta compariva una tigre parlante, bloccata a testa in giù, impegnata nel suo pasto.
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    Le strisce di Calvin & Hobbes – pubblicate per dieci anni, dal 18 novembre 1985 al 31 dicembre 1995, tutti i giorni (eccetto due lunghe interruzioni di circa nove mesi ciascuna) – ottennero un successo formidabile e clamoroso nel giro di pochi anni. Nel novembre 1986 le strisce di tutti i giorni e le tavole pubblicate nei supplementi domenicali comparivano regolarmente in 250 quotidiani statunitensi, e molto presto cominciarono a essere vendute a migliaia di giornali di altri paesi del mondo (in Italia la rivista Linus fu tra le prime a pubblicarle). Nel momento di massima popolarità, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, le strisce di Calvin & Hobbes erano pubblicate in più di 2.400 giornali in tutto il mondo. Le raccolte edite durante e dopo la fine delle pubblicazioni di strisce originali hanno venduto oltre 45 milioni di copie, e attualmente le ristampe delle strisce continuano a essere pubblicate sui giornali di oltre 50 paesi.
    Il valore delle strisce di Calvin & Hobbes nella storia del fumetto americano sono ancora oggi oggetto di approfondite analisi tra studiosi e riferimento culturale costante per appassionati di ogni età. Sul carattere schivo dell’autore – si è sempre visto in giro molto poco, e dopo aver smesso con Calvin & Hobbes si è dedicato a pochi occasionali progetti – è stata negli anni costruita una narrazione molto suggestiva, in parte alimentata anche dalle idee di Watterson e dalla sua ferma contrarietà a qualsiasi forma di sfruttamento commerciale di Calvin & Hobbes diversa dal fumetto.
    Calvin & Hobbes, per chi non ne sa niente
    Calvin è un bambino di sei anni, figlio unico, che vive con i suoi genitori in una città degli Stati Uniti imprecisata ma con diverse affinità meteorologiche e urbanistiche con Chagrin Falls, il sobborgo a nordest di Cleveland in cui Watterson è cresciuto. Calvin ha un migliore amico, Hobbes, una tigre di peluche che soltanto lui vede come una tigre vivente, antropomorfa e parlante: è raffigurata come un peluche inanimato soltanto nelle vignette in cui Calvin è insieme a qualche altro personaggio umano, e questo genera equivoci e paradossi che rappresentano una parte di tutto l’impianto narrativo delle strisce.
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    I nomi dei due protagonisti sono un riferimento al teologo francese del Cinquecento Giovanni Calvino, tra i principali esponenti della Riforma protestante della Chiesa, e il filosofo inglese del Seicento Thomas Hobbes, autore del libro Il Leviatano, studiato fin da scuola per le sue ipotesi sullo “stato di natura” (all’università Watterson si è laureato in scienze politiche). Seppure nelle strisce non abbiano delle parti vere e proprie, molte delle volte in cui Calvin & Hobbes compaiono insieme (quasi sempre), Calvin – il bambino – asseconda la sua inclinazione al disordine, al gioco e alla devastazione, mentre Hobbes – la tigre – rappresenta il polo più riflessivo e più saggio, pur cedendo continuamente alla sua tendenza naturale agli agguati (ogni volta che rientra da scuola, Calvin viene travolto da Hobbes e bloccato in un abbraccio senza scampo).
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    Gli altri personaggi e i temi ricorrenti
    I genitori di Calvin non hanno un nome: vengono sempre chiamati soltanto “mamma” e “papà”. La madre è il personaggio più risoluto: molte delle strisce in cui compare mostrano suoi tentativi di risolvere o prevenire i danni prodotti da Calvin, o di inventarsi qualche storia per convincerlo a mangiare. Il padre è un tipo ironico e poco severo: si diverte molto e spesso a fornire risposte e spiegazioni assurde alle continue domande di Calvin, e tiene botta quando Calvin rivendica maggiore libertà.
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    Gli altri personaggi che compaiono con una certa frequenza sono la baby-sitter Rosalyn, Siusi – compagna di scuola di Calvin – e la signora Vermoni, l’insegnante delle scuole elementari, che Calvin immagina spesso nella forma di un alieno mostruoso che lo tiene in ostaggio (in quei momenti Calvin immagina sé stesso nei panni di un eroico astronauta chiamato Spiff). Una delle occupazioni preferite da Calvin è la realizzazione di pupazzi di neve nel cortile di casa, spesso scolpiti in posizioni e situazioni alquanto macabre (decapitati, falciati, trafitti). Viene poi spesso citata dagli appassionati una lunga serie di strisce in cui i pupazzi prendono vita, grazie alla fantasia di Calvin, e si rivoltano contro gli esseri umani.
    L’immaginazione inarrestabile di Calvin è uno dei motivi ricorrenti in molte delle strisce – e soprattutto delle tavole domenicali – più note e apprezzate dal pubblico, quelle in cui Watterson utilizza intenzionalmente un tratto grafico più realistico. «Una delle cose più divertenti è che le fantasie di Calvin sono disegnate con uno stile più realistico rispetto a quello usato per disegnare la realtà, e questo la dica lunga su cosa succede dentro la testa di Calvin», ha recentemente detto Watterson in un’intervista (pubblicata integralmente nel catalogo di una sua mostra allestita alla Biblioteca del Fumetto “Billy Ireland” a Columbus, in Ohio).
    I soggetti più frequenti delle fantasie di Calvin sono i dinosauri, gli alieni e gli aerei da combattimento, ma ci sono anche tavole in cui le fantasie si mescolano (nella tavola del 1° gennaio 1995, per esempio, Calvin immagina un gruppo di tirannosauri piloti di F-14). Tra i fenomeni che maggiormente stimolano la sua fantasia ci sono i compiti in classe e specialmente i problemi di matematica, di cui ignora la soluzione.
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    L’ultima pubblicazione originale di Calvin & Hobbes sui quotidiani fu una tavola domenicale pubblicata il 31 dicembre 1995: mostra Calvin & Hobbes scendere giù per una collina innevata in cerca di nuove “esplorazioni”. Circa due mesi prima Watterson aveva inviato ai giornali una lettera in cui preannunciava la fine delle pubblicazioni di Calvin & Hobbes al termine dell’anno. “Non è una decisione recente e neppure facile, e mi congedo con una certa tristezza”, scrisse Watterson aggiungendo che avrebbe ancora lavorato con il suo editore, la Universal Press Syndicate.
    Si ipotizzò che alla base della decisione di Watterson ci fossero alcune divergenze con l’agenzia di stampa, oltre alla voglia di dedicarsi ad altri progetti con tempi e scadenze diverse da quelli delle strisce. “Disegnare questa striscia a fumetti è stato un privilegio ed un piacere, e vi ringrazio di avermene dato l’opportunità”, concluse Watterson nella lettera. Nel 2005, tornando sull’argomento, Lee Salem – editor di Watterson alla Universal Press Syndicate – disse che Watterson “era arrivato a un punto in cui riteneva di non avere più altro da dare ai personaggi”.
    I meriti di Watterson
    Sebbene le strisce di Calvin & Hobbes siano di solito molto apprezzate per l’umorismo delle scene e l’ingegno dei personaggi, il successo di Watterson è da molti attribuito – e non in secondo ordine – alla qualità dei suoi disegni e alla stilizzazione semplice ed efficace delle figure. Nella prefazione alla raccolta “The Essential Calvin And Hobbes”, pubblicata nel 1988, Charles Schulz – autore dei Peanuts, forse l’unica striscia a fumetti indiscutibilmente più famosa di Calvin & Hobbes – sottolineava le qualità di Watterson come disegnatore e, indirettamente, le difficoltà di riprodurre le sue strisce in formati diversi dal fumetto.
    Il disegno in una striscia a fumetti è infinitamente più importante di quanto si creda, perché il nostro mezzo deve competere con altre forme di intrattenimento, e se il disegnatore si limita a illustrare una battuta ha già perso in partenza. Le strisce di Calvin & Hobbes contengono immagini spassosissime che non possono essere duplicate su altri mezzi. Insomma son belle da vedere, ed è questo che ha reso il lavoro di Bill un così ammirevole successo.​
    L’altro merito generalmente riconosciuto a Watterson è la capacità di aver saputo rappresentare con grande sensibilità artistica stati d’animo apparentemente molto distanti dalla visione del mondo tipica degli adulti. «Nei dieci anni di pubblicazione delle strisce, Watterson ha realizzato una visione indelebile e autenticamente bambinocentrica del mondo”, scrisse nel 2012 il New Yorker in una recensione della raccolta completa delle strisce di Calvin & Hobbes (“The Complete Calvin and Hobbes”, in Italia pubblicata in dieci volumi da Franco Cosimo Panini Editore).
    In un articolo pubblicato a giugno scorso sul magazine online A.V. Club, ripensando agli anni in cui le strisce di Calvin & Hobbes erano pubblicate quotidianamente, la giornalista del Los Angeles Times Libby Hill definì con precisione la condizione psicologica di Calvin, uno degli aspetti che, secondo lei, ha reso le strisce di Watterson – in un modo molto simile a quanto avviene con i Peanuts di Charles Schulz – tanto apprezzate da lettori di qualsiasi età, a livelli diversi. Mostrando le difficoltà, le frequenti insensatezze e i paradossi sia del mondo degli adulti che della sua quotidiana vita da bambino, Calvin – pur prendendosela moltissimo con tutto e tutti – sostanzialmente “normalizza” situazioni che a un bambino possono apparire intollerabili e profondamente ingiuste. Scrive Hill:
    Calvin non aveva problemi a mettere a fuoco il mondo intorno a sé: aveva problemi a riconciliarsi con il fatto che il mondo intorno a sé fosse una così grande delusione. Il motivo per cui le strisce piacevano sia ai giovani che agli adulti è perché Calvin si sentiva deluso al livello di uno studente universitario. Non è raro per i bambini provare sensazioni del genere, soprattutto per quelli più sensibili rispetto all’ambiente circostante, e per molti era un sollievo sapere che non era così insolito vedere il mondo senza lo splendore di facciata che ci offrono continuamente. Calvin rendeva ammissibile essere scoraggiati e delusi dalla vita, e normalizzava la solitudine intrinseca che l’infanzia può arrecare. Era lì per noi mentre noi crescevamo, e mentre noi imparavamo che le cose possono andare sia molto meglio che molto peggio negli anni della pubertà e in quelli seguenti, Calvin era ancora lì impantanato al primo livello, infuriato contro il sistema.​
    La riservatezza di Watterson
    Nel decennio in cui le strisce di Calvin & Hobbes sono state una pubblicazione quotidiana letta da milioni di persone negli Stati Uniti e nel mondo, Watterson ha cercato di evitare il più possibile l’attenzione mediatica che il grande successo del suo lavoro gli ha inevitabilmente procurato fin dalla fine degli anni Ottanta. Ci è riuscito a tal punto da essere da alcuni definito “il J. D. Salinger del fumetto americano”. Le rare occasioni in cui si è mostrato in pubblico – di lui circolano pochissime fotografie – sono state quasi sempre circostanze formali in cui ha parlato principalmente di Calvin & Hobbes o, più in generale, della funzione e dello spazio del fumetto nella cultura americana, evitando di fornire informazioni sulla propria vita privata.
    (Bill Watterson al lavoro a casa sua a Chagrin Falls, Ohio, il 24 febbraio 1986)
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    Nel 2003 il giornalista americano Gene Weingarten – noto principalmente per aver vinto un Pulitzer nel 2008 e nel 2010 – cercò per conto del Washington Post di trovare e intervistare Bill Watterson, dopo numerosi tentativi falliti da parte di altri giornalisti di testate meno importanti. Andò a Chagrin Falls, in Ohio, dove Watterson abitava all’epoca, e non riuscendo a mettersi in contatto con lui – racconta il giornalista e scrittore Nevin Martell nel libro “Looking for Calvin and Hobbes” – Weingarten decise di andare a casa dei genitori di Watterson e lasciare una lettera che loro avrebbero dovuto recapitare al figlio. Nella lettera Weingarten scriveva a Watterson che sarebbe rimasto a pernottare in un albergo lì vicino finché Watterson non si fosse messo in contatto con lui.
    La mattina seguente Weingarten ricevette in albergo una telefonata di Salem, l’editor di Watterson, che gli diceva di preparare i bagagli e desistere perché quell’incontro non sarebbe avvenuto. E Weingarten rinunciò e tornò a casa senza la sua intervista. In altre occasioni lo stesso Salem ha raccontato di aver ricevuto, alla fine degli anni Ottanta, altre telefonate e richieste di incontrare Watterson da parte di registi e autori molto famosi come Steven Spielberg e George Lucas, e che Watterson – sempre con garbo e gentilezza – si è rifiutato di incontrare ognuno di loro (un’altra volta, senza comunque organizzare un incontro tra i due, Salem recapitò a Watterson una lettera dallo scrittore Stephen King, il cui contenuto non è mai stato reso pubblico).
    Il rifiuto del merchandising del fumetto
    Watterson ha sempre rifiutato di vendere i diritti del suo fumetto ad aziende eventualmente interessate a utilizzare l’immagine di Calvin & Hobbes per promuovere forme di merchandising. Ha anche impedito che le striscie diventassero qualcosa di più o di diverso rispetto a un fumetto. In una delle sue rare interviste – quella data alla rivista statunitense Mental Floss nell’ottobre 2013 – ribadì un concetto più volte affermato già in passato. Riguardo l’ipotesi di fare una versione a cartone animati di Calvin & Hobbes, coinvolgendo eventualmente qualche grande casa di produzione cinematografica come la Pixar, Watterson disse al suo intervistatore:
    «La raffinatezza visiva della Pixar mi sbalordisce, davvero, ma io non ho alcun interesse a fare un cartone animato di Calvin & Hobbes. Se avete mai fatto il confronto tra un film e il romanzo su cui quel film è basato vi sarete accorti che il romanzo ne esce sempre stravolto. È inevitabile, perché mezzi differenti implicano necessità e tempi diversi, e quando fai un film devi rispettare le esigenze del film. Calvin & Hobbes funziona esattamente nel modo che intendevo, come striscia. Non ci sarebbe motivo di adattarlo».​
    L’adesivo per automobili con il Calvin taroccato
    Ad eccezione di due calendari del 1989 e del 1990, di un libro di testo scolastico del 1993 (“Teaching with Calvin and Hobbes”) e di un francobollo stampato dallo United States Postal Service nel 2010, non esistono prodotti che raffigurino legalmente – cioè con una regolare licenza di merchandising – personaggi o scene di Calvin & Hobbes. Per molti anni fin dal 1995 però è circolato negli Stati Uniti (e ogni tanto capitava di vederlo anche in Italia) un adesivo illegalmente tratto da una vignetta contenuta in una tavola del 5 giugno 1988, in cui la figura di Calvin – voltato di spalle mentre prepara un gavettone – era stata modificata per farlo apparire con i pantaloni calati impegnato a urinare.
    Nella maggior parte dei casi l’adesivo mostrava Calvin urinare sul logo di famose case automobilistiche, motivo per cui il lunotto posteriore delle macchine era il posto in cui era più facile vedere applicata questa decalcomania di dubbio gusto. Negli anni Novanta inoltre l’adesivo comparve con una certa frequenza anche sul casco di alcuni piloti del campionato NASCAR, una delle competizioni automobilistiche più seguite negli Stati Uniti. In South Carolina, dove l’adesivo fu ritenuto “osceno” e quindi vietato per legge, gli automobilisti che lo mostravano rischiavano persino una multa di 200 dollari (e qualcuno la prese anche).
    La Universal Press Syndicate ha minacciato per anni pesanti azioni legali contro i produttori e venditori dell’adesivo non autorizzato, incontrando tuttavia una serie di difficoltà a rintracciare i responsabili: per lo più si trattava di piccoli ma numerosissimi rivenditori di ricambi per automobili sportive e adesivi (del genere “bimbo a bordo”) sparsi in diversi paesi. Con il passare del tempo la maggior parte di questi rivenditori smise di vendere l’adesivo o, in alcuni casi, sostituì l’immagine di Calvin con quella di bambini dall’aspetto diverso. Al giornalista di Mental Floss che nel 2013 gli chiese se avesse mai staccato via, per puro piacere o per dispetto, uno di questi adesivi dalla carrozzeria di un pick up, Watterson rispose: «Immagino che, molto tempo dopo che le strisce saranno dimenticate, quelle decalcomanie saranno il mio biglietto per l’eternità».
    Il discorso di Watterson al Kenyon College
    Già nel maggio 1990, nel pieno del periodo di pubblicazioni quotidiane di Calvin & Hobbes, Watterson espresse le sue opinioni critiche verso il merchandising dei fumetti e verso le logiche del profitto a ogni costo in un apprezzato discorso tenuto in occasione della consegna dei diplomi al Kenyon College in Ohio, da lui frequentato tra il 1976 e il 1980. Gavin Aung Than, fumettista australiano autore di Zen Pencils (un blog che raccoglie adattamenti a fumetti di discorsi e citazioni famose), ha disegnato nel 2013 una tavola molto ripresa dai siti specializzati che sintetizza, con lo stile grafico delle strisce di “Calvin & Hobbes“, uno dei passaggi più citati di quel discorso di Watterson al Kenyon College nel 1990:
    Troverete i vostri dilemmi etici in ogni parte delle vostre vite, sia personali che professionali. Abbiamo tutti desideri e bisogni diversi, ma se non scopriamo cosa vogliamo da noi stessi e per cosa combattiamo, vivremo passivamente e insoddisfatti. Presto o tardi, a tutti noi viene chiesto di compromettere noi stessi e le cose che ci importano. Definiamo noi stessi attraverso le nostre azioni. Con ciascuna decisione, raccontiamo chi siamo a noi stessi e al mondo. Pensate a cosa volete da questa vita, e siate consapevoli che ci sono molti tipi di successo. Molti di voi faranno legge, altri economia, altri medicina, o altri lavori, e potete aspettarvi quel tipo di stipendio di partenza che, con un po’ di fortuna, vi permetterà di pagare i vostri debiti d’iscrizione nell’arco di questa vita. Ma avere una carriera invidiabile è un conto, ed essere felici è un altro.
    Realizzare una vita che rifletta i vostri valori e soddisfi la vostra anima è un risultato raro. In una cultura che promuove incessantemente l’avarizia e l’eccesso come esempi positivi, una persona felice di fare il suo lavoro è generalmente considerata eccentrica, se non sovversiva del tutto. L’ambizione è compresa soltanto se finalizzata a raggiungere la cima di una qualche immaginaria scala del successo. Chi decide di fare un lavoro meno impegnativo, perché gli permette di seguire altri interessi e attività, è considerato un tirapacchi. Una persona che abbandona la sua carriera per stare a casa e crescere i figli è considerato uno non all’altezza delle sue potenzialità, come se un titolo professionale e uno stipendio fossero l’unica misura del valore umano.​
    (Le strisce utilizzate in questo articolo sono tratte dalle raccolte Il progresso tecnologico fa “Boink”, Strani esseri di un altro pianeta e C’è qualcosa che sbava sotto il letto, pubblicate da Franco Cosimo Panini Editore e tradotte da Nicoletta Pardi)
     
    Last edited: Sep 5, 2017
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  6. olandiano

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    Sono sempre di piu belli da leggere...Grazie..;)
     
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    embriaco User

    Perché Topolino non è un coniglio: la storia segreta di Mickey Mouse

    Il primo "amore" di Walt Disney fu un coniglietto. E tale sarebbe rimasto se... La storia di Topolino che (forse) non conosci.

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    Oswald, il coniglio fortunato, ricorda in modo impressionante Topolino (a destra). Non è un caso: è lui la prima creatura di Walt Disney.
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    Se Topolino fosse un coniglio vi piacerebbe lo stesso? Il rischio della sostituzione c’è stato per davvero, perché la prima creazione di Disney fu proprio un coniglio (nella foto qui sopra a sinistra). E se il geniale Walt non avesse litigato con la sua casa di produzione forse oggi Mickey Mouse non esisterebbe…
    Il 4 settembre 1927, un coniglietto animato conosciuto come Oswald the Lucky Rabbit (Oswald il coniglio fortunato) debuttò al cinema nel “corto”, intitolato Trolley Troubles. Oswald aveva un creatore famoso: Walt Disney.
    Erano gli albori della Disney Brothers Studios, la società fondata assieme a suo fratello a Hollywood nei primi anni 20 del 900. Disney aveva firmato un accordo con la Universal Studios per produrre 26 cartoni animati, a patto che il personaggio del titolo non fosse un gatto perché, come aveva spiegato a Disney il capo dello studio Carl Laemmle, “c’erano troppi gatti sul mercato” (il riferimento era al Gatto Felix).
    Coniglio batte gatto. Disney e la sua squadra partorirono il coniglio Oswald, che dopo qualche iniziale titubanza entusiasmò la Universal e a seguire anche pubblico e critica.
    Dopo neppure un anno, però, Disney litigò con il socio Dan Mintz, che gli portò via il personaggio e i disegnatori, portandoli alla Universal.
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    Superata la rabbia e rimasto con un solo animatore fedele, Ub Iwerks, Disney si mise al lavoro su un nuovo personaggio che a una prima occhiata non sembrava molto diverso da quello vecchio, a parte le orecchie più corte e rotonde e lo stomaco pronunciato, quasi che Disney e Iwerks avessero trasformato un coniglio perché sembrasse più simile a un topo.
    Il nome scelto per il nuovo personaggio fu Mortimer, presto cambiato in Mickey, perché la moglie di Disney, Lillian, riteneva che Mortimer fosse troppo pomposo. Mickey debuttò timidamente sullo schermo nel 1928 nell’ormai celebre L’aereo impazzito, mentre Disney faticava non poco a trovare distributori per la sua nuova creatura. Ci riuscì al terzo episodio, Steamboat Willie, caratterizzato dal suono sincronizzato con le immagini e col quale Disney conquistò finanche l’autorevole rivista Variety, che con lungimiranza battezzò il successo di Topolino.
    Senza guanti. In origine, il topo più famoso del mondo si presentava “a zampe nude”. Poi qualcosa cambiò: era il 1929 e la ragione la spiegò lo stesso Walt Disney in un’intervista: “Non volevamo che lui avesse le zampe del topo: lo volevamo rendere più umano e così gli abbiamo infilato i guanti. Cinque dita ci sembravano però troppe su una figura così piccola: così abbiamo tolto un dito. E ne abbiamo avuto uno in meno da animare!”
    Arrivo in Italia. Il fumetto italiano è stato pubblicato la prima volta il 31 dicembre del 1931. Ben presto il giornalino passò alla Mondadori dove restò fino al 1988, quando tornò alla Disney. Gli autori italiani furono bravissimi, a loro si devono tanti nuovi personaggi: Brigitta, Filo Sganga, Amelia (ispirata a Sofia Loren), Rockerduck, Trudy e Paperinik.
    E Oswald? I cartoni animati di Oswald furono prodotti fino al 1943 e i suoi fumetti fino agli anni 60, poi, man mano che Topolino conquistava il mondo, fu definitivamente abbandonato. È riapparso nel 2013 in un cameo nel film di animazione Tutti in scena, dopo che la Disney nel 2006 ne ha riacquistato i diritti, a 79 anni dallo "scippo". Meglio tardi che mai.



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    Oswald
    Nome:
    Oswald, il Coniglio Fortunato (in inglese Oswald the Lucky Rabbit)
    Città:
    Rifiutolandia
    Prima apparizione nei fumetti:
    nella collana di albi New Fun del 1935 con i disegni di Al Stah.
    Segni particolari:
    è invidioso di suo “fratello minore” Topolino diventato molto più popolare di lui.
    Descrizione

    Walt Disney amava spesso ripetere che "tutto cominciò con un topo", ma di certo non fu Topolino il primo personaggio a essere inventato. Una delle prime creazioni di Walt Disney e del suo socio Ub Iwerks fu il coniglio Oswald, che ai tempi del muto aveva stupito il mondo con i suoi geniali cortometraggi. Oswald era un vero e proprio monello, capace di rompere le regole della società... e della fisica, mettendo in scena alcune fra le gag più surreali di sempre. Ma dopo poco tempo il distributore dei corti di Oswald che deteneva i diritti del personaggio decise di fare a meno di Walt. Privato della sua creazione e di buona parte del suo staff, a Walt Disney non rimase che ricominciare da capo a costruire il suo regno della fantasia, iniziando da un certo topo...
    Quasi ottant'anni dopo il fattaccio, Oswald è stato riportato a casa. I suoi diritti sono stati riacquistati e il coniglietto ha finalmente ripreso il posto che gli spettava nel magico mondo Disney. Grazie alla serie di videogiochi Epic Mickey, creata da Warren Spector, e ai fumetti a essa correlati, Oswald è tornato a imporsi nell'immaginario popolare, come abitante di Rifiutolandia, la terra dei personaggi Disney dimenticati. Lì Oswald ha finalmente messo su famiglia con Ortensia, la gattina del suo cuore, dando alla luce uno stuolo di coniglietti scatenati. Ed è stato proprio in quella strana dimensione narrativa che il coniglio fortunato si è finalmente imbattuto nel suo "fratellino" Topolino, costruendo con lui quell'amicizia che da sempre avrebbe dovuto esserci.
    Prima apparizione sullo schermo: nel cartone animato Trolley Troubles di Walt Disney del 1927.

    Oswald il coniglio fortunato


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    Oswald
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    Informazioni generali
    Codice Inducks:Oswald the Lucky Rabbit
    Specie:Coniglio antropomorfo
    Genere:Maschio
    Creato da:
    • Ub Iwerks (disegni)
    • Walt Disney (sceneggiatura)
    Fumetti
    Debutto in:Trolley Troubles (1927)
    Parenti più stretti:
    • Ortensia (gatta) (moglie)
    • Coniglietti blu (figli)
    • Topolino (fratellastro)
    Oswald il coniglio fortunato (Oswald the lucky rabbit) è un personaggio dei cartoni animati creato da Walt Disney e Ub Iwerks nel 1927.
    Creato l'anno prima di Topolino, è stato il primo successo di Disney. Il coniglio era molto simile al gatto Felix ed esordì con Trolley Troubles il 5 settembre 1927. Per un anno e mezzo furono prodotti altri cartoni muti di Oswald, apprezzati dal pubblico. I suoi cartoni animati furono prodotti fino al 1943 e i suoi fumetti fino agli anni sessanta, quando fu definitivamente abbandonato. Nel 2006, la Disney ha riacquistato diritti sull'immagine di Oswald.
    Indice
    I problemi sui diritti


    Nel 1927 Walt Disney firmò un contratto con Universal Pictures per produrre alcuni cartoni animati su Oswald per un anno. Il personaggio ebbe uno straordinario successo, addirittura maggiore di Felix the Cat , il principale concorrente. Dato il successo l'allora distributore di Universal, Charles Mints fece in segreto un contratto con gli animatori di Walt. L'unico che non accettò il contratto dal distributore fu Ub Iwerks, miglior amico di Walt, che lo avvertì della truffa. Walt stentava a crederci ma quando arrivò dal suo distributore ne ebbe la conferma, perché secondo le leggi dell'epoca, il distributore possedeva i diritti del personaggio, quindi Mintz sottrasse Oswald the Lucky Rabbit a Disney. Disney - offeso da tale raggiro - prese di nuovo il treno per Los Angeles e quando arrivò, insieme a Ub Iwerks, si mise a disegnare i tratti di un nuovo personaggio, Mickey Mouse
    Il 9 febbraio 2006 la Disney riottiene i diritti di Oswald grazie ad un Telecronista della NBC. Con essi la Disney ha creato i videogiochi della serie Epic Mickey.
    Epic Mickey

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    Oswald e Topolino in Disney Epic Mickey 2
    Oswald appare nel videogioco Disney Epic Mickey e nel sequel Disney Epic Mickey 2. Nella prima avventura Oswald è geloso della fama di Topolino, fama che sarebbe spettata a lui, se Topolino non fosse esistito e non gli avesse rubato il posto. Al termine del gioco però i due personaggi ritrovano l'amicizia di un tempo e si abbracciano come fratelli. Nel secondo videogioco Oswald e Topolino sono sin dai primi minuti di gioco alleati e devono fermare lo Scienziato Pazzo.
    Per il lancio del gioco sono state create alcune storie promozionali quasi tutte nate dalla collaborazione italo-americana tra il disegnatore Claudio Sciarrone e lo sceneggiatore Peter David Le storie sono state pubblicate nei principali stati europei, negli Stati Uniti e in Brasile per promuovere i videogiochi.
     
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  8. olandiano

    olandiano User

    Un altre storia bello, adesso di Mickey mouse.:)
     
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  9. _caramon_

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    Oggi è il compleanno di Robertina7676


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  10. embriaco

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    [​IMG] ...... auguri...... butterfly.......
     
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  11. embriaco

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    H.P. LOVECRAFT: L’ALTROVE A FUMETTI DI ERIK KRIEK

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    Howard Phillips Lovecraft (1890-1937) è riconosciuto come uno dei padri fondatori della letteratura dell’orrore. Le sue opere, diventate celebri solo dopo la sua morte, hanno avuto una grande influenza sulla fantascienza e sul cinema dell’orrore. Erik Kriek, uno dei grandi maestri del fumetto olandese, ha trasformato in immagini cinque dei più famosi racconti di Lovecraft. Per rappresentare un mondo fantastico fatto di evocazioni di mostri innominabili e indescrivibili e di paure senza nome, Kriek si è ispirato ai famosi fumetti americani anni cinquanta della EC Comics.
    Il fumettista olandese restituisce quasi perfettamente le visioni dello scrittore americano.
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    La casa editrice Eris sta compiendo scelte editoriali molto interessanti, pubblicando titoli di grande pregio e se amate l’orrore cosmico di H.P. ritroverete tutte le sensazioni nelle incredibili tavole in bianco e nero di questo fumetto.
    Erik Kriek, affermato fumettista olandese, si è assunto il gravoso compito di realizzare una trasposizione a fumetti di alcuni dei più famosi racconti del grande H. P. Lovecraft, riuscendo più che bene nell’impresa. E, cosa sorprendente, non utilizzando un tratto sperimentale o particolarmente sofisticato, bensì ispirandosi chiaramente allo stile un po’ retrò dei fumetti horror americani degli anni cinquanta: figure ben distinte, contrasti decisi fra bianchi e neri (e grigi), fisionomie non troppo realistiche.
    Tutto ciò contribuisce a far immergere il lettore nell’atmosfera degli Stati Uniti dei primi decenni del novecento.
    Per quanto riguarda i testi, Kriek è stato abbastanza fedele ai racconti originali, limitandosi a modificare o eliminare qualche passaggio per rendere più scorrevole la lettura.Il risultato è senza dubbio buono.
    Lo consiglio in particolare agli amanti di Lovecraft, ma anche a chi non conosce lo scrittore di Providence e vuole semplicemente godersi un bell’albo a fumetti.
    Opere letterarie come il Faust o Frankenstein di Mary Shelley hanno spesso fornito ispirazione ad artisti inducendoli a creare ambiziose opere a fumetti bizzarre e cariche di suspense.
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    H.P. Lovecraft, maestro incontrastato dell’horror sublime, è stato fonte di ispirazione per numerosi illustratori di fumetti, da Bernie Wrightson ad artisti underground come Richard Corben, ai quali adesso si aggiunge un’altra mente creativa: Erik Kriek, nato ad Amsterdam nel 1966.
    Le sue visioni appaiono dettagliate, raccapriccianti, ricche e fortemente inchiostrate e seguono il classico stile vecchia scuola del fumetto “creepy” anni ’50. Ma nei suoi disegni c’è anche quel tocco di modernismo alla Charles Burns o Bernie Wrightson, e il tratto più classico dell’argentino Domingo Mandrafina.
    Un interessante mix artistico che rende evidente la sua origine europea, ma, che come del resto tutto lo storytelling, è in gran parte influenzato dai comics americani.
    Fino ad oggi, Lovecraft – nonostante il suo essere di gran lunga avanti rispetto ai suoi tempi – è stato etichettato dalla critica letteraria come un autore horror. Di converso, ha raggiunto un’inspiegabile popolarità nella moderna cultura pop, al punto da essere rispolverato dai ragazzini avidi di storie pulp.
    Ma egli, negletto in vita, non ha raggiunto l’empireo della letteratura nemmeno da morto: è la maledizione del genere horror, che colpisce anche autori contemporanei come Stephen King. Nel suo immaginario letterario e iconografico Lovecraft trae ispirazione dalle arti, indicando nei suoi racconti i suoi artisti preferiti: Butler Yeats, Beardsly, Füssli, o Goya.
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    La sua influenza su artisti contemporanei come H.R. Giger, autori come Alan Moore o Neil Gaiman e illustratori come Mike Mignola è un fatto indiscutibile.
    Per molti anni innumerevoli biografi, registi, sceneggiatori, musicisti, ecc, hanno assorbito e trasformato le opere di H.P. Lovecraft, aggiungendo le proprie idee sino a comporre un quadro complessivo che delinea una sua influenza quasi capillare sulla cultura contemporanea. È infatti difficile trovare una sola persona tra noi che possa affermare di non avere mai incontrato, in un fumetto o in un’opera grafica, un’immagine ispirata in qualche modo ai racconti di Lovecraft.
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    Un modello tanto importante non può che pesare sulla genesi di un’opera grafica come questa, quanto meno sulle aspettative dei fruitori, soprattutto di quelli che hanno letto e amano Lovecraft. È un peso che pochi artisti riescono a sostenere: non tutti sono Gustave Doré.
    E infatti leggere questo adattamento di Erik Kriek ignorando le storie originali, se le avete lette, appare quasi impossibile.
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    Comunque non tutte le storie di Lovecraft sono eccezionali.
    H.P. Lovecraft non possiede la brillante sintesi di Poe, e talvolta sembra confondersi tra le sue stesse trame. Adattandole a graphic novel, Kriek ha sentito il bisogno di aggiungere e togliere alcuni elementi. Eppure c’è un aspetto in cui Lovecraft rimane senza rivali: la descrizione di un orrore inconcepibile.
    Nessun altro autore è mai riuscito a riempire le pagine di un libro di un tale senso di strisciante disagio.​
    Che tuttavia non è descritto a parole, ma è nella struttura del testo, tra le righe, e alligna lentamente nella mente del lettore. E questa è una cosa ben difficile da rendere graficamente.
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    Molti artisti hanno fallito quando si tratta di immaginare “orrori indicibili, ancora invisibili”. A questo proposito Kriek, abbastanza comprensibilmente, ha non poche difficoltà a tenere il passo del grande maestro e la capacità di Lovecraft di suscitare un orrore subliminale nel lettore più concentrato e, dignitosamente, si limita a sfiorarne la superficie.
    Se per un attimo dimentichiamo Lovecraft, le storie di Kriek appaiono come piccoli racconti brillantemente strutturati, permeati da un’oscura fantasia e supportati da eccellenti illustrazioni che sembrano il frutto di un’attenta lavorazione artigianale.
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    Kriek onora profondamente le regole del fumetto. Le sue creature provengono dalla storia del fumetto. L’unico problema è che, probabilmente, tali creature sono ormai inflazionate nella narrativa moderna. Oggi ci sono zombie ad ogni angolo, e questo non dà all’artista la minima possibilità di mostrarci qualcosa di sconosciuto o veramente fuori dal comune. E questo può anche essere la ragione per la scelta di uno stile illustrativo molto classico, raffinato ma senza sorprese.
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    Come si può disegnare “un certo disagio che si insinua nella mente quando la luce del sole cambia sottilmente e ti trovi in un posto strano”? Le parole di Lovecraft ci mettono ansia, creano immagini potenti in grado di rubarci almeno un paio di ore di sonno. Esse hanno origine nel subconscio – un ricordo innescato da un colore particolare, la percezione di un odore diverso. Di grande in Lovecraft c’è proprio questo aspetto: ha davanti questa cosa orribile ma non può descrivertela, ti fa credere che se te la descrivesse diventeresti pazzo all’istante!
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    Gli artisti, gli illustratori, i grafici, lavorano tutti per creare immagini potenti – e spesso falliscono. Nelle storie di Erik Kriek il diverso e la deviazione trovano giustificazione in qualcosa di mondano: la follia, la malattia come a rassicurare il lettore insinuando che la storia sia il frutto di una mente distorta.
    Ma questo non succede mai con i racconti di Lovecraft e mai ci sogneremmo di mettere in dubbio la realtà dell’orrore di cui ci sussurra ad ogni rigo.
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    Questo ed altro deve essere preso in considerazione per giudicare le cinque storie a fumetti di Kriek. La loro superba qualità risalta se le si considerano un libero adattamento, un lavoro autonomo. Naturalmente i racconti sono stati ridotti e semplificati per rispettare le esigenze del mezzo espressivo. Si tratta di una pratica legittima e anzi necessaria. Ma rischia di banalizzare e togliere tutto l’alone lovecraftiano. Alle volte riesce, alle volte no, a seconda della storia originale.
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    Per gli amanti di Lovecraft, “Da altrove e altri racconti” sarà sicuramente un pezzo degno di far parte della loro collezione di fumetti.
    Elevati gli standard di qualità, con l’adozione di una carta che valorizza i neri delle illustrazioni dettagliate e un’eccellente qualità di stampa.
    Certo, non è che l’orrore lovecraftiano debba essere per forza rappresentato in bianco e nero: è una questione di gusti personali.
    Per me è sempre stato di colore verde scuro con un sacco di nero e molto poco bianco.
    “H.P. Lovecraft. Da altrove e altri racconti” di Erik Kriek,

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    Stripgeschiedenis

    Erik Kriek

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    Erik Kriek (Amsterdam, 18 november 1966) studeerde aan de Rietveld academie. Krieks bekendste personage is 'Gutsman', een anti-superheld die Kriek gebruikt om de Amerikaanse superheldenstrips uit de jaren '40 en '50 te parodiëren.
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    Gutsman nummers 5, 8 en 10
    In de strip zijn zowel Gutsman als zijn tekenaar (Kriek dus) verliefd op hetzelfde meisje, Tigra. Hierbij delft overigens de tekenaar doorgaans het onderspit, ondanks zijn aan lager wal geraakte rivaal. Door ook een blik te werpen in het leven van de familie van Tigra, wordt een kijkje gegeven in het typisch Nederlandse burgermansmilieu.
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    Little Andy Royd (Zone 5300, augustus 1999)
    Kriek publiceert regelmatig in het tijdschrift Zone 5300. Dit blad publiceerde ook zijn stripbewerkingen van de horrorverhalen van H.P. Lovecraft, die in 2012 door Oog & Blik werden gebundeld in 'Het onzienbare, en andere verhalen van H. P. Lovecraft'. In 2016 verscheen zijn alom geprezen bundel 'In The Pines', met stripinterpretaties van zogenaamde "murder ballads".
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    Uit: Vrij Nederland
    Vanwege het tekstloze karakter van veel van zijn strips, vindt hij ook internationaal veel waardering. In de Verenigde Staten is zijn werk verschenen bij de uitgeverij Top Shelf. Kriek tekent verder ook voor Vrij Nederland, en ontwerpt platenhoezen, posters en skateboards. In 1998 exposeerde hij zijn werk in Galerie Lambiek. Buiten striptekenen houdt Erik zich ook bezig met het zingen en banjo spelen in Ierse bars.
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  12. olandiano

    olandiano User

    WOW, che bello storia. Devo dire la veritá, io non conosciuto neanche, menomale che mio amico Olandese embri per dirmi chi sono. Grazie embrie.
     
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  14. _caramon_

    _caramon_ User

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  15. olandiano

    olandiano User

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  16. miki1570

    miki1570 User

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    Buon compleanno Embry
     
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  17. miki1570

    miki1570 User

    Hi my name is miki1570 and I asked for your friendship.
    When you play, light up the traffic light and attach the safety belts.
     
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  18. embriaco

    embriaco User

    C’è da scommettere che quando Marge Simpson ha comunicato al marito di essere in dolce attesa del primogenito Homer abbia pensato a un pesce d’aprile. Bart sarebbe infatti nato il primo aprile del 1979, almeno secondo Flavorwire, che ha realizzato una serie di infografiche con i compleanni dei beniamini del cinema e della tv di ieri e di oggi.

    Auguri spietati – Una buona parte del calendario è occupata dai compleanni dei cattivi del grande schermo. Da Hannibal Lecter, classe 1933, nato il 20 gennaio, a Michael Myers del film horror Halloween (che festeggia in autunno, il 19 ottobre), passando per il più giovane Dexter Morgan che ha compiuto 41 anni il primo febbraio scorso, molti serial killer per nascere prediligono i mesi freddi.
    Le vittime dello spietato Freddy Krueger (1947), invece, malediranno l’arrivo dell’estate: era il 6 giugno del 1947 quando l’assassino senza scrupoli venne al mondo. Fra i protagonisti delle saghe più recenti non va dimenticato Voldemort, il nemico di Harry Potter (31 dicembre), fino ad arrivare ai personaggi dei fumetti: Joker per nascere ha scelto l’afa dell’1 agosto.

    Supereroi senza tempo – Chi ama il lieto fine si segni sull’agenda la data del 19 febbraio, quando Bruce Wayne ha dato vita al personaggio di Batman, e del 29 febbraio, quando Superman ha cominciato a fare svolazzare il suo mantello rosso nei cieli delle città.
    Non mancano, poi, gli eroi con pistola e distintivo. La prima settimana dell’anno gli auguri di felice compleanno vanno a Jim Brass, un mago delle indagini impossibili di CSI, al mito di Magnum P.I, Thomas, classe 1946, e all’inimitabile Sherlock Holmes (1854), che deve aspettare il 7 luglio per festeggiare il compleanno del fido amico e compagno di sventura Watson, nato nel 1852.

    Compleanni animati – Spaziando dal grande schermo alle serie tv, il team di Flavorwire è incappato anche nei festeggiamenti dei personaggi dei cartoni animati. Il gatto Garfield è nato il 19 giugno di 34 anni fa. Il 14 luglio, invece, è il compleanno di Spongebob: sarà una vera impresa riuscire a spegnere le candeline sul fondo dell’oceano…
    Poi ci sono Kyle di South Park (26 maggio), Homer Simpson (12 marzo, classe 1951) e la simpatica gattina Hello Kitty (1 novembre).

    Insomma, dal protagonista di Mad Men (nato il primo giugno del 1926) al Dottor House che nonostante il bastone porta bene i suoi quasi 53 anni (li compie l’11 giugno), passando per John Locke di Lost che festeggia il 30 maggio, nel calendario dei compleanni celebri di Flavorwire non manca proprio nessuno. E oltre a divertirsi cercando il personaggio famoso (seppur fittizio) con cui condividiamo il giorno di nascita, grazie a questo calendario è possibile cimentarsi in improbabili calcoli delle affinità di cuore delle coppie dello spettacolo. Ad esempio, la Carrie di Sex and The City e il suo Mr. Big vivranno per sempre felici e contenti, lo dicono i segni zodiacali (lei è nata il 15 giugno, gemelli; lui il 7 aprile, ariete).
    Infine, se incontrate la bella Lolita, ricordate: oltre che un felice anno nuovo, il primo gennaio bisogna augurare anche un buon compleanno.


    Buon compleanno Charlie Brown
    I Peanuts compiono 67 anni
    Il 2 ottobre 1950 debuttano negli Usa le strisce di Charles M. Schulz e subito il mondo si innamora di quei personaggi così dolci e così disincantati

    di MICHELE SERRA
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    I PEANUTS compiono sessant'anni. Sono sopravvissuti felicemente al loro autore, come capita solo ai classici, e circolano per il mondo in mille forme. Cliccando "Peanuts" o "Schulz" o "Charlie Brown" o "Linus", Internet restituisce una marea impressionante di materiale critico, rievocativo, archivistico, promozionale, devozionale. Colpisce soprattutto il larghissimo spettro delle reazioni suscitate, nei decenni, da quella piccola tribù di bambini. Si va dalla critica super-colta al fan club, dall'analisi letteraria, psicologica, semiologica al culto "pop" più affettuoso e sfrenato.

    Il vero mistero dei Peanuts (e il vero capolavoro di Schulz, volontario o preterintenzionale che sia) è la prodigiosa elasticità di lettura. Un poster di Charlie Brown figura con la stessa dignità sopra la scrivania dell'intellettuale, accanto ai manifesti del Bauhaus, e nella cameretta del teenager, di fianco al poster di Vasco o degli eroi del wrestling. Una lettura multistrato, immediata e "divertente" quanto basta a raggiungere il pubblico di massa, strutturata e allusiva quanto serve per toccare altre corde.

    Di queste corde, quelli della mia generazione hanno memoria indelebile. Dentro quelle strisce minute scoprivamo il riverbero della malinconia giovanile del Salinger del Giovane Holden e del Philip Roth del Lamento di Portnoy. C'era la parodia della psicanalisi ("cinque cents, prego", chiedeva Lucy dopo i suoi consulti inconsulti), l'incombenza soporifera della televisione (mai inquadrata da Schulz, che preferiva ritrarre lo svacco inerte dei ragazzini davanti al video sempre fuori campo), c'era la caduta dell'autorità degli adulti, c'era l'inutilità del benessere, c'era l'incomprensibilità della scuola. Il mondo piccolo dei Peanuts riassumeva tutti o quasi i tratti di uno spaesamento adolescenziale che in quegli anni, i Sessanta e i Settanta, spesso assumeva le forme della ribellione, dell'asprezza politica.

    Ma in Schulz, che non fu mai un autore "politico", quella stessa irrequietezza rimaneva implosa, gentile e riflessiva, ironica e pudica. Se "niente andava bene" - anche nei Peanuts, e specie per il loro eroe Charlie Brown - tutto però doveva rimanere gestibile, raccontabile, entro i confini incruenti del gioco e del sogno. Pur di tutelare questo infinito garbo (nei Peanuts non compare mai una parolaccia, una frase violenta), Schulz è ricorso a una specie di "trucco" anagrafico: i suoi ragazzini pensano e parlano già come adolescenti, ma vengono disegnati come bambini. Del bambino hanno la piccolezza, l'impaccio, la fragilità, l'immensa libertà di fantasticare e giocare e inventare. Ma l'introspezione, la "serietà", e anche le sconfitte, sono già materiale semi-adulto.

    Schulz non fu mai particolarmente loquace a proposito del proprio lavoro. Per altro, è piuttosto raro che un artista sappia efficacemente "spiegare" quanto va creando. Ma una delle più evidenti qualità dei Peanuts - l'idea vincente - è stata consegnare a un gruppo di bambini il carico di dubbi, fatiche, smarrimento di una middle-class inquieta (più tardi si sarebbe detto: ceti medi riflessivi) che cominciava a maneggiare il benessere con qualche impaccio, e chiedersi se davvero era felice, in quelle casette linde e tra quelle staccionate bianche. Nelle mani dei bambini, questa materia in fin dei conti dura, che altrove divampava e feriva, si trasformò in gioco e in sogno, in umorismo e poesia. Chiunque abbia frequentato i Peanuts, a qualunque età li abbia letti o li legga, ne coglie la malinconia (non fanno "ridere", fanno sorridere, pensare, intenerire) ma è soprattutto ammirato dall'infinita, rara leggerezza.

    Quei bambini-filosofi, nella loro piccola enciclopedia del pensiero imberbe, parlano senza dubbio di noi, ma tenendosi bene a distanza dagli sbocchi distruttivi o autodistruttivi dell'età adulta. Si chiedono chi sono, e cosa ci fanno lì, e quali possibilità rimangono, a chi vuole sognare, di sognare davvero. Ma si guardano bene dal confondersi con la fretta, l'ansia, l'ambizione, il fracasso del mondo già compiuto, quello dei grandi. Sono incompiuti (beati loro). E nell'incompiutezza pensano (giustamente) che tutto sia ancora possibile, che la ragazzina dai capelli rossi ricambi prima o poi un amore neppure mai pronunciato, che il Sopwith Camel di Snoopy possa infine levarsi in volo e mitragliare il Barone Rosso, che il pallone da football, un giorno o l'altro, possa essere calciato con vigore e precisione, che l'aquilone non si attorcigli al suo filo e non vada a morire sull'unico albero in mezzo al campo.

    La delicatezza dei Peanuts può apparire, negli anni, quasi reticente: incalcolabile, nel tempo trascorso, è il numero dei sogni che si sono infranti, e delle illusioni masticate male e vomitate con rabbia, nell'America di Charlie Brown come ovunque in giro per il vecchio Occidente. È invece, quella delicatezza, un dono artistico che proprio con il trascorrere dei decenni giganteggia, e rende grandissimi i bambini di Schulz. La libertà del cortile, del gioco, dell'infanzia, del non sapere ancora chi si è, chi si diventerà, è libertà di diventare. È irriducibilità. Irriducibili sono i Peanuts, che hanno visto il mondo attorno a loro crollare e ricrearsi, le guerre succedersi, le ingiustizie perpetuarsi, la letteratura americana diventare una specie di prontuario di patologie psichiche e delle violenze sociali, il cinema incanaglirsi: ma sono ancora lì, pronti a calciare il pallone e far volare l'aquilone.

    Può darsi che questa "eternità" dei Peanuts consoli soprattutto chi li ha incontrati a dodici anni, molto molto tempo fa, ed è felice di ritrovare intatti, non in cocci, almeno alcuni dei segni dell'infanzia. Ma può darsi, anche, che l'eleganza intellettuale, il pudore, l'acuta leggerezza di Schulz parlino anche a chi li legge ora, ed è ragazzo ora, e avendo palloni ancora da calciare, e ragazzine dai capelli rossi da fare innamorare, trova nei Peanuts non una consolazione, ma un'istigazione alla libertà di vivere.
    (26 settembre 2010)
     
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  19. embriaco

    embriaco User

    Ratman

    Il personaggio di Leo Ortolani fa il verso ai grandi supereroi americani già a partire dal nome. Plasmato all’inizio con un programmatico intento parodistico, Deboroh La roccia alias Ratman segue poi uno sviluppo autonomo che lo rende unico. Ma la sua vis comica senz’altro permane nell’elemento parodico e sovversivo, che attraverso la reinserzione di citazioni in contesti rovesciati produce situazioni grottesche. Ratman non è soltanto un supereroe privo di superpoteri, ma oltretutto la sua grossolanità non fa che generare guai e imprevisti. Più volte in questi 25 anni Ortolani ha comunicato la fine della testata, e un annuncio analogo c’è stato anche lo scorso aprile, creando tra gli affezionati un panico generalizzato. È difficile interpretare le sue affermazioni («Sto lavorando alle storie finali, sto cercando di creare questa enorme chiusura finale. […] Non lo perderò di vista, comunque, ci sarà modo di fare altre storie con lui protagonista, come le parodie, ad esempio Star Rats, quella su Guerre Stellari, dove c’è sempre un Rat-Man come protagonista»), probabilmente non ci resta che stare in attesa.

    Leo Ortolani: “Dico addio a Rat-Man dopo 30 anni insieme”

    Il disegnatore chiude la serie cult: «Ha quella faccia perché non so disegnare gli umani»
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    Leo Ortolani

    Da una parte c’è il personaggio, Rat-Man, mito per grandi e bambini, simbolo di un certo tipo di fumetto e di umorismo; dall’altra c’è il suo autore, Leo Ortolani, laureato in Geologia, disegnatore, sceneggiatore e scrittore, che quasi 30 anni fa ha iniziato questa serie che ha rivoluzionato il fumetto italiano appassionando migliaia di persone.
    Il 28 settembre uscirà l’ultimo albo, il numero 122, il finale di una storia lunga dieci capitoli, in cui tutto arriverà a una conclusione. E pensare che Rat-Man, nel 1989, nacque per caso: «Per partecipare a un concorso indetto dalla rivista L’Eternauta - racconta Ortolani -. Al cinema era appena uscito il Batman di Tim Burton e mi decisi a farne una parodia: da Batman a Rat-Man. È da lì che arrivano le orecchie da topo».
    Al concorso dell’Eternauta vinse il premio per la miglior sceneggiatura.
    «Immagini il livello della competizione! Comunque, tenni questo ratto da parte. Non che pensassi di farne chissà che cosa, però visto che a questa storia ne era seguita un’altra, una parodia di Superman, mi misi in testa che avrei potuto fare una serie di storie legate ai supereroi».
    Ci riuscì?
    «Mi avvicinai alla Marvel Italia, alla quale presentai una parodia del Punitore. All’epoca c’era un mensile che si chiamava Marvel Mania. La cosa, però, non andò avanti. Anche perché, di lì a poco, avrebbe chiuso. E allora sulla scia di quello che faceva Ade Capone, cominciai ad autoprodurre il bimestrale di Rat-Man».
    Strano che nessun editore fosse interessato a Rat-Man.
    «L’autoproduzione mi sembrava una buona idea perché appoggiandomi a una piccola casa editrice potevo fare quello che mi pareva. Solo dopo, con l’aiuto di alcuni editor di quella che poi è diventata la Panini Comics, tra cui Marco Lupoi, che oggi è il direttore, decisi di portare Rat-Man in edicola».
    Orecchie da topo ma faccia da scimmia.
    «Non sono capace di disegnare gli esseri umani. Quando ho cominciato a lavorare alle prime storie mi sono detto: facciamo le scimmie, sono simili agli uomini. E ho fatto questo muso che è diventato il mio marchio di fabbrica».
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    (La copertina dell’ultimo Rat-Man)
    C’è chi definisce Rat-Man «satirico».
    «Mi verrebbe da chiedere in che senso. Perché da una parte mi sembra molto limitante, dall’altra non è neanche così vero. Non è solo satira, Rat-Man».
    Per qualcun altro, invece, è fantozziano.
    «Non vorrei mai fregiarmi di tale titolo, soprattutto adesso che Paolo Villaggio non c’è più. Ma se fantozziano vuol dire essere la maschera di qualcosa, Rat-Man potrebbe anche esserlo. È ignorante ma buono, con un cuore grande. Molto più vincente di Ugo Fantozzi».
    Nel 2011 ha scritto anche un libro, Due figlie e altri animali feroci. Diario di un’adozione internazionale, Sperling & Kupfer.
    «Erano le lettere che mandavo ad amici e parenti per far sapere come andavano le cose in Colombia. Ne ho scritte talmente tante che poi Andrea Plazzi, editor di Rat-Man, mi ha proposto di farne un libro».
    Una sorta di guida all’adozione.
    «Più che guida, un modo per sdrammatizzare. Il meccanismo dell’adozione rischia di stritolare la gente. Moltissimi non vanno oltre i colloqui preliminari perché si sentono indagati. Il mio era un modo come un altro per dire: “Non perdetevi d’animo”».
    Le sue figlie leggono Rat-Man?
    «Le mie bimbe sono ancora nella fase di conoscenza con la lettura. Ammetto di non essermi mai messo a leggere Rat-Man con loro. Ora che la serie è finita, però, avremo più tempo».
    Quindi questo è un addio definitivo?
    «La serie è finita definitivamente. Mi sembrava giusto così. In quasi trent’anni, sono riuscito a creare un discorso che si chiudesse in maniera perfetta. Senza pensarlo prima».
    Che cosa avete in comune, lei e Rat-Man?
    «Diciamo che è lui ad avere più cose in comune con me. Faccio personaggi con un sacco di limiti, forse perché mi rendo conto di averne io stesso. Non sarei in grado di fare un supereroe puro, come Superman».
    Il fumetto da edicola, dicono i critici, è in crisi.
    «Non seguo molto quello che dicono i critici. Anche perché il fumetto da edicola continua tranquillamente la sua strada. Magari con cifre di venduto diverse, perché l’offerta oggi è molto più ricca. Ma per me quello che stiamo vivendo è un rinascimento».
    Quindi qual è il problema?
    «È l’edicola che sta soffrendo. E quando l’edicolante rimanda indietro i fumetti invenduti, l’editore ne stampa di meno. Ma stampandone di meno, anche l’edicolante ne ha di meno. E li mostra di meno. È una piramide al contrario».
    Per lavorare a C’è spazio per tutti, il suo prossimo fumetto per Panini Comics, ha conosciuto l’astronauta Paolo Nespoli.
    «Sì, e non ho fatto molta fatica a immaginarlo su carta. Ha il physique du rôle, un viso interessante ed è un entusiasta. Io, dovessi anche solo pensare di andare nella Stazione spaziale, mi inchioderei a una roccia. Lui, invece, ha questa brama di vita incredibile. Spero di rendergli giustizia con questa storia che uscirà a fine ottobre, in cui lo utilizzo insieme a Rat-Man come personaggio».
    Com’è cambiato Rat-Man nel corso di questi anni?
    «È rimasto sempre lo stesso. Sono cambiati il contesto e il mio modo di raccontarlo. Le prime storie erano brevi, parodistiche. Andando avanti, la voglia di far ridere è passata quasi in secondo piano. In più di venti anni ho approfondito altri aspetti che il lettore, cresciuto insieme a Rat-Man, ha accettato di buon grado».
    Che cos’è che la fa ridere?
    «Mi fa ridere l’imprevedibilità. La risata nasce da un cortocircuito tra quello che è normale e quello che non lo è. Mi fanno molto ridere le mie figlie. Perché si stanno interfacciando con la realtà per la prima volta. E quindi, pur non volendo, sono comiche. Soprattutto la più piccola: una donnina senza umorismo, ma che è esilarante».
    E ora su che cosa lavorerà?
    «C’è in ballo la parodia di Dylan Dog, ma non so se la farò. Vorrei fare progetti più particolari. Vedremo con il tempo che cosa mi scatterà dentro».

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  20. olandiano

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    :rolleyes::)
     
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