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Discussion in 'Sezione Italiana' started by Air-Base, Apr 3, 2017.

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  1. olandiano

    olandiano User

  2. embriaco

    embriaco User

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    ,,,
    Significato nomi indiani d'America

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    Significato nomi indiani d'America
    Il significato dei nomi degli Indiani d'America.
    Nella cultura degli Indiani il nome viene scelto in base al proprio spirito e spesso cambia piu di una volta nel corso della vita. Generalmente il primo nome era scelto dal padre ma molto spesso era anche scelto dal capo tribù e si basava sugli eventi legati alla nascita.
    Il grande spirito aveva una grande importanza per gli indiani nativi e qualsiasi manifestazione della natura poteva incidere nella scelta del nome e del suo significato.
    Per esempio una particolare nuvola (rossa durante un temporale o tramonto) presente alla nascita del bambino poteva dare il significato di NUVOLA ROSSA.
    Allo stesso modo se durante la vita avveniva un evento importante e una situazione particolare il capo tribù e a volte lo sciamano potevano cambiare il nome indiano dando un significato più appropriato.
    L'uomo medicina se aveva una visione, tramite l'uso di sostanze che alterano la mente e permettono di spingere la stessa ai limiti, poteva suggerire un nome per un indiano.
    Attraverso riti di purificazione (molto frequenti nella cultura indiani) spesso si avevano visioni più o meno importanti da cui si prendeva spunto per dare un significato particolare ai nomi.
    ..

    Significato dei nomi maschili indiani d'america (prima parte)
    A fianco del nome troverete la tribù da cui nasce il nome e il significato

    ABOOKSIGUN: algonchina "Gatto pazzo".

    ABUKCHEECH: algonchina "topo".

    ACHAK: algonchina "spirito".

    ADAHY: algonchino cche significa "clolui che vive nel legno o negli alberi".

    AHANU: tribù algonchina "colui che ride".

    AHIGA: algonchino "colui che combatte".

    AHOTE: Hopi "colui che è irrequieto".

    AHTAHKAKOOP: Cree "stella coperta".

    AMITOLA: Sioux "arcobaleno", deriva da una leggenda che asserisce come il primo dipinto a colori venne dipinto nelle nuvole da un capo indiano di nome Amitola.

    ANTIMAN: Mapuche "condor del sole".

    ANTINANCO: Mapuche "aquila del sole".

    APONIVI: Hopi "dove il vento soffia giù e divide".

    ASHKII: Navajo "ragazzo giovane".

    ASKOOK: Algonchino "serpente".

    ASKUWHETEAU: algonchino "egli veglia".

    ATA'HALNE: navajo "egli interrompe".

    AUCAMAN: Mapuche "condor selvatico o selvaggio".

    AVONACO: cheyenne "orso magro".

    AYAWAMAT: hopi "uno che segue gli ordini".

    BIDZIIL: Navajo "egli è un duro".

    BILAGAANA: navajo "persona bianca"

    CATAHECASSA: shawnee "zoccolo nero"

    CHA'AKMONGWI: hopi "capo banditore"

    CHANKOOWASHTAY: Sioux "buona strada".

    CHANSOMPS: Algonchino "Locusta".

    CHASCHUNKA (Chas-chunk-a): Winnebago "Onda".

    CHA'TIMA: Hopi "colui che chiama".

    CHAVATANGAKWUNUA: Hopi "piccolo arcobaleno".

    CHAYTON: Sioux "falcone".

    CHEVEYO: Hopi "spirito guerriero".

    CHOCHMO: Hopi "tumulo di fango".

    CHOCHOKPI: Hopi "trono per le nuvole"

    CHOCHUSCHUVIO: Hopi "cervo dalla coda bianca"

    CHOGAN: Algonchini "uccello nero".

    CHOOVIO: Hopi "antilope"

    CHOVIOHOYA: Hopi "giovani cervi"

    CHOWILAWU: Hopi "unite da acqua"

    CHUA: Hopi "serpente"

    CHUCHIP: Hopi "spirito del cervo"

    CHUNTA: Hopi "barare"

    CHUSI: Hopi "fiore serpente"

    CIQALA: Dakota "piccolo"

    COWESSESS: Ojibwa "bambino"

    DEMONTHIN: Ponca "parla come cammina"

    EDITON: Omaha "in piedi come un oggetto sacro"

    ELUWILUSSIT: algonchino "santo"

    ENAPAY: Sioux "senza paura"

    ENKOODABAOO: Algonquin, si dice anche Enkoodabooaoo, "uno che vive da solo"

    ENKOODABOOAOO: vedi sopra

    ETCHEMIN: algonchino "uomo canoa"

    ETLELOOAAT: algonchino "grida"

    GAAGII: Navajo "corvo"

    GAD: Navajo "ginepro"

    GAHEGE: Omaha "capo"

    GOYATHLAY: Apache "uno che sbadiglia"

    GUDAHI: Omaha "lì (un coyote) va!"

    HAHKETHOMEMAH: Cheyenne "piccola peste"

    HANIA: Hopi "spirito guerriero"

    HASSUN: algonchino "pietra"

    HASTIIN: Navajo "uomo"

    HAWIOVI: Hopi "scendendo la scala."

    HEAMMAWIHIO: Cheyenne "saggio al di sopra"

    HELUSHKA (He-lush-ka): Winnebago "combattente"

    HESKOVIZENAKO: Cheyenne "istrice"

    HESUTU: Miwok "nido giacca gialla che sorge dal terreno"; siccome la traduzione sembra strana riporto la traduzione inglese:"yellow jacket nest rising out of the ground."

    HEVATANEO: Cheyenne "corda di capelli"

    HEVOVITASTAMIUTSTO: Cheyenne "tromba d'aria"

    HIAMOVI: Cheyenne "capo alto"

    HINTO: Dakota "blu"

    HOHNIHOHKAIYOHOS: Cheyenne "schiena del lupo"

    HOK'EE: Navajo "abbandonato"

    HOKOLESQUA: Shawnee "gambo di mais"

    HONANI: Hopi "tasso"

    HONAW: Hopi "orso"

    HONIAHAKA: Cheyenne "piccolo lupo"

    HONON: Miwok "orso"

    HOTAH: Sioux "bianco"

    HOTOTO: Hopi "spirito guerriero che canta "o" colui che fischia."

    HOTUAEKHAASHTAIT: Cheyenne "toro alto"

    HOWAHKAN: Sioux "voce misteriosa"

    HOWI: Miwok "tortora"

    HURITT: algonchini "bello"

    ISI: Choctaw "cervo" nome sia per maschio che per femmina

    ISTAQA: Hopi "uomo coyote"

    KACHADA: Hopi "uomo bianco"

    KANEONUSKATEW: Cree "uno che cammina a quattro zampe"

    KANGEE: Sioux "corvo"

    KAWACATOOSE: Cree "uomo povero"

    KELE: Hopi "passero"

    KEME: algonchino "segreto"

    KESEGOWAASE: algonchino "rapido"

    KESTEJOO: Algonquin "schiavo"

    KISECAWCHUCK: Cree "stella del mattino"

    KITCHI: Algonquin "coraggioso"

    KOHANA: Sioux "rapido"

    KOHKAHYCUMEST: Cheyenne "corvo bianco o antilope bianca"

    KOLICHIYAW: Hopi "puzzola, moffetta"

    KOSUMI: Miwok "pesca salmoni con la lancia"

    KOTORI: Hopi "spirito del gufo che stride"

    KUCKUNNIWI: Cheyenne "piccolo lupo"

    KURUK: Pawnee "orso"

    KWAHU: Hopi "aquila"

    KWATOKO: Hopi "uccello dal grande becco"

    LALAWETHIKA: Shawnee "fa rumore"

    LANSA: Hopi "lancia"

    LAPU: Hopi "corteccia di cedro"

    LEN: Hopi "flauto"

    LEYATI: Miwok "a forma di conchiglia abalone"

    LISE: Miwok "testa di salmone che si eleva sopra l'acqua"

    LIWANU: Miwok "ringhio d'orso"

    LOKNI:Miwok "pioggia cadde attraverso il tetto"

    LOOTAH:Sioux "rosso"

    MACHAKW: Hopi "cornea del rospo"

    MACHK: algonchini "orso"

    MAHKAH: Sioux "terra"

    MAHPEE: Sioux "cielo"

    MAKKAPITEW: algonchini "ha denti grossi"

    MAKYA: Hopi "aquila cacciatrice"

    MANTOTOHPA: Cheyenne "quattro orsi"

    MASICHUVIO: Hopi "cervo grigio"

    MATCHITEHEW: "ha un cuore malvagio"

    MATCHITISIW: algonchino "ha un cattivo carattere"

    MATOSKAH: Sioux "orso bianco"

    MATUNAAGA: algonchini "combattimenti"

    MATWAU: algonchino "nemico"

    MAZA BLASKA: Dakota "ferro da stiro"

    MEGEDAGIK: algonchino "uccide molti"

    MELKEDOODUM: algonchini "presuntuoso"

    METURATO: Cheyenne "bollitore nero"

    MINNINNEWAH: Cheyenne "mulinello di vento"

    MISU:Miwok "ruscello increspato"

    MOCHNI: Hopi "uccello parlante"

    MOKI: Hopi "cervo"

    MOLIMO: Miwok "recare a piedi in ombra"

    MONA: Miwok "raccoglie semi di stramonio"

    MONGWAU: Hopi "gufo"

    MUATA: Miwok "giacca gialla dentro il nido"

    MUKKI: algonchino "ragazzino"

    MUNDOO: algonchino "grande spirito" ma era usato per "il diavolo" dai primi missionari.

    MUSCOWEQUAN: Cree "dura spina"
    Significato nomi maschili indiani d'america (parte seconda)

    A fianco del nome troverete la tribà da cui nasce il nome e il significato

    NAALNISH: Navajo "egli lavora"

    NAHCOMENCE: Cheyenne "corteccia"

    NAHIOSSI: Cheyenne "aveva tre dita"

    NAHUEL: Mapuche "giaguaro"

    NAPAYSHNI: Sioux "duro e coraggioso"

    NASTAS: Navajo "curvo come l'erba di volpe"

    NAWKAW: Winnebago "legno"

    NIICHAAD: Navajo "gonfio"

    NIXKAMICH: algonchino "grande padre"

    NIYOL: Navajo "vento"

    NOOTAU: algonchino "fuoco"

    NOSH: algonchino "padre"

    NOSHI: variante algonchina di Nosh che significa "padre"

    NUKPANA: Hopi "male"

    OCUMWHOWURST: Cheyenne "lupo gialo"

    OCUNNOWHURST: variante Cheyenne Ocumwhowurst, significa "lupo giallo" nome per animale

    ODAKOTA: Sioux "amico"

    OGALEESHA: Sioux "indossa una camicia rossa"

    OHANZEE: Sioux "ombra"

    OHCUMGACHE: Cheyenne "piccolo lupo"

    OHITEKAH: Sioux "coraggioso"

    OMAWNAKW: Hopi "padre nuvola"

    OTAKTAY: Sioux "ne ha uccisi molti"

    OTOAHHASTIS: Cheyenne "toro alto"

    OTOAHNACTO: Cheyenne "toro orso"

    PACHUA: Hopi "serpente piumato d'acqua"

    PAHANA: Hopi "perso fratello bianco"

    PAJACKOK: algonchino "tuono"

    PANNOOWAU: algonchino "egli mente"

    PAYTAH: Sioux "fuoco"

    PIVANE:Hopi "donnola"

    POWWAW: algonchino "sacerdote o prete"

    QALETAQA: Hopi "guardiano della gente"

    QOCHATA: Hopi "uomo bianco"

    QUANAH: Comanche "fragrante"

    QUIDEL: Mapuche "torcia che brucia"

    ROWTAG: algonchino "fuoco"

    SANI: Navajo "il vecchio uno"

    SEGENAM: algonchino "pigro"

    SEWATI: Miwok "orso dall'artiglio curvo"

    SHIKOBA: Choctaw "padre" nome unisex

    SHILAH: Navajo "fratello"

    SHIRIKI: Pawnee "coyote"

    SHIYE: Navajo "figlio"

    SHIZHE'E: Navajo "padre"

    SHOEMOWETOCHAWCAWEWAHCATOWE: Cheyenne "schiena alta lupo"

    SICHEII: Navajo "nonno"

    SIKE: Navajo "egli siede a casa"

    SIK'IS: Navajo "amico"

    SIKYAHONAW: Hopi "orso giallo"

    SIKYATAVO: Hopi "coniglio giallo"

    SKAH: Sioux n"bianco"

    SOWI'NGWA: Hopi "coda cervo bianco"

    SUCKI: algonchino "nero"

    SUNUKKUHKAU: algonchino "schiaccia"

    TAHKEOME: Cheyenne "piccola giacca"

    TAHMELAPACHME: Cheyenne "coltello opaco"

    TAKODA: Sioux "amico di tutti"

    TANGAKWUNU: Hopi "arcobaleno"

    TAREGAN: Algonquin "gru"

    TASUNKE: Dakota "cavallo"

    TATANKA-PTECILA: Dakota "bisonte corto"

    TECUMSEH: Shawnee "pantera che passa attraverso"

    TEETONKA: Sioux "parla troppo"

    TELUTCI: Miwok "sopportare di sollevare la polvere"

    TENSKWATAWA: Shawnee "apre porta"

    TIHKOOSUE: algonchino "corto"

    T'IIS: Navajo "pioppo"

    TOCHO: Hopi "leone di montagna"

    TOGQUOS: algonchino "gemello"

    TOHOPKA:Hopi "bestia"

    TOKALA: Dakota "volpe"

    TOOANTUH: Cherokee "rana di primavera"

    TSE: Navajo "roccia"

    TSIISHCHILI: Navajo "dai capelli ricci"

    TUPI: Miwok "tira su"

    UZUMATI: Miwok "orso"

    VAIVEAHTOISH: Cheyenne "si posa sulla nuvola"

    VIHO: Cheyenne "capo"

    VIPPONAH: Cheyenne "faccia magra"

    VOHKINNE: Cheyenne "naso romano"

    VOISTITOEVITZ: Cheyenne "mucca bianca"

    VOISTTITOEVETZ: variante Cheyenne Voistitoevitz,"vacca bianca"

    VOKIVOCUMMAST: Cheyenne "antilope bianca"

    WAHANASSATTA: Cheyenne "colui che cammina con le dita dei piedi rivolte verso l'esterno"

    WAHCHINKSAPA: Sioux "saggio"

    WAHCHINTONKA: Sioux "ha molta pratica"

    WAHKAN: Sioux "sacro"

    WAMBLEESKA: Sioux "aquila bianca"

    WAMBLI-WASTE: Dakota "aquila buona"

    WANAGEESKA: Sioux "spirito bianco"

    WANAHTON: Sioux "destriero"

    WANIKIYA: Sioux "salvatore"

    WAPASHA: Dakota "foglia rossa"

    WAQUINI: Cheyenne "naso a uncino"

    WAYRA: Quechua "vento"

    WEAYAYA: Sioux "sole che"

    WEMATIN: algonchino "fratello"

    WICASA: Dakota "saggio"

    WICKANINNISH: Nootka "non avere nessuno davanti a lui nella sua canoa"

    WIKVAYA: Hopi "uno che porta con sè"

    WOHEHIV: Cheyenne "coltello scuro"

    WOKAIHWOKOMAS: Cheyenne "antilope bianca"

    WUYI: Miwok "avvoltoio tacchino che si impennano"

    YAHTO: Sioux "blu"

    YANISIN: Navajo "vergogna"

    YAS: Navajo "neve"

    YISKA: Navajo "la notte passata"
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    [​IMG] risponde Aldo Cazzullo

    Caro Aldo,
    Fête nationale. Attraversando la Francia in ogni paesino mille iniziative in occasione del 14 luglio. E da noi? Il 25 Aprile è una festa “politica”. Due Stati, due popoli.

    Lucia Marinovic
    Caro Aldo,
    oggi la Francia festeggia una giornata che da ben 228 anni divide, tra un prima e un dopo, la storia dell’umanità in nome di quel grido «Liberté, egalité, fraternité». Ritiene sia necessario mantenere saldi quei valori soprattutto tra i giovani?

    Paolo Farinati
    Cari lettori,
    Il 25 Aprile è considerata un «festa politica» perché tale l’abbiamo fatta diventare. Anche il 14 luglio 1789 in Francia ci furono dei vinti, anche la rivoluzione fu a suo modo un conflitto civile. La differenza è che in Francia – mutato il molto che c’è da mutare — nessuno dubita quale fosse la parte giusta e quale la parte sbagliata; anche se molti tra coloro che militarono sul fronte di «liberté égalité fraternité» tradirono quel motto versando il sangue dei compatrioti.
    In questi giorni ho ricevuto centinaia di messaggi sulla questione dell’antifascismo. Non sarei onesto se tacessi che la grande maggioranza sostenevano o giustificavano l’apologia di fascismo. Una lettrice, all’evidenza ignara o dimentica del colonnello Montezemolo, del generale Caruso, dei carabinieri martiri a Fiesole e alle Ardeatine, degli internati militari in Germania, mi ha scritto che l’antifascismo è roba da radical chic. Nessuno ha trovato nulla da ridire sulla battuta antisemita dell’onorevole Corsaro, su cui ha scritto parole definitive Pierluigi Battista, autore di uno splendido libro intitolato «Mio padre era fascista».
    È vero che la Francia ha una coscienza nazionale più antica della nostra, e che i conflitti civili si sono stemperati nel tempo. Nel 1871 la Comune di Parigi fu stroncata con i plotoni d’esecuzione: George Duby scrive di 40 mila fucilati, più i deportati alla Cayenna. Il regime filonazista di Vichy fu cancellato dalla memoria nazionale con un’operazione politica: De Gaulle lo considerava «nullo e mai accaduto», Mitterrand che da Pétain era stato decorato non rinnegò mai l’amicizia con il capo della polizia Bousquet; bisognò attendere Chirac, uomo di destra, perché fosse riconosciuta la responsabilità francese nella persecuzione degli ebrei. In Francia però per una battuta antisemita si finisce condannati dalla magistratura ed espulsi dal partito: Marine Le Pen l’ha fatto con suo padre. L’on. Corsaro rimane al suo posto.
     
    Last edited: Jul 14, 2017
  3. olandiano

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  4. embriaco

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    Last edited: Jul 15, 2017
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  5. olandiano

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  6. embriaco

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    GLI ANNI D’ORO DEL DIARIO VITT(Stampa alternativa, 2006)

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    Il nome di Jacovitti è indissolubilmente legato al diario Vitt che, proprio come fanno oggi Smemoranda e simili, ha accompagnato intere generazioni di giovanissimi italiani chini sui banchi di scuola. In questo volume c’è un po’ la storia del nostro Paese, raccontata con le vignette del più grande fumettista italiano. Un tuffo nostalgico nel passato, accompagnato dal critico Goffredo Fofi, che passa attraverso le prestigiose firme di giornalisti come Indro Montanelli e Sergio Zavoli che accompagnavano con i loro testi le vignette di Jac e le storie a fumetti che l’autore realizzò appositamente per il diario.
    Altre edizioni: Diario Vitt, Serie oro – La Repubblica (2005).

    KAMASULTRA(Nicola Pesce Editore, 2015)

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    L’eros secondo Jacovitti che, in coppia con il grande umorista Marcello Marchesi, realizza una splendida opera di surrealismo ed erotismo che ancora oggi non ha eguali. Le illustrazioni sono dei capolavori assoluti e il genio folle e trasgressivo di Jac non ha freni. I quattro volumi, pubblicati da Maga Pubblicitas nel 1977, ritornano in una recentissima edizione molto curata da Nicola Pesce Editore che ce la restituisce in tutto il suo splendore artistico, aggiungendo materiale inedito a quello originale. Imperdibile.
    Altre edizioni: Kamasultra, Maga Pubblicitas, quattro volumi spillati (1977); Kamasultra, Stampa Alternativa (2002),

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    JACOVITTI
    (Piero Dami Editore, 1974)


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    A tutt’oggi il miglior libro mai realizzato dedicato a Jacovitti. E questo la dice lunga, dal momento che parliamo di un’edizione pubblicata più di quarant’anni fa.
    Formato gigante, cartonato con sovracoperta (rara a trovarsi); il volume si apre con una splendida introduzione di Vezio Melegari, correlata da una serie di divertentissime fotografie di Jacovitti; segue una serie d’illustrazioni raffiguranti i 100 personaggi più famosi di Jacovitti e la raccolta prosegue proponendo ben nove storie a fumetti tra cui alcune dei capolavori assoluti: Little Tom (in assoluto la mia storia preferita del grande Jac), Tom e Gionni, Cocco Bill nell’aldiquà, Tizio Caio e Sempronio, Chicchirino, Gamba di Quaglia, Il Coccobello, il Brutto e il Cattivo, Cocco Bill così e cosà, Giulietto e Romea. Ma non finisce qui, perché ogni storia è intervallata dalle sue famose panoramiche (le famose Jacovittagini) e dalle strisce mute del personaggio Giuseppe.
    Un libro imperdibile per tutti i fans del grande Jac.
    Altre edizioni: alcune storie si possono trovare anche nei recenti volumi pubblicati da Stampa Alternativa.
    COCCO BILL
    (Rizzoli Milano libri, 1975)


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    Un perfetto volume raccoglitore incentrato sul personaggio più famoso di Jacovitti: Cocco Bill. Il volume è da preferirsi agli altri di Jac, sia per il fatto che le storie di Cocco Bill sono pubblicate in bianco e nero e sia perché comprende dieci storie relative ad un arco di tempo che va dal 1957 al 1966. Si parte dalla prima avventura di Cocco Bill per poi giungere a leggere autentici gioielli come Cocco Bill e la revolucion, Kamumilla kokobi!, Ugh-Ugh Cocco Bill. Ampia introduzione del grande critico letterario Alberto Perrini. A proposito delle storie di Cocco Bill, il grande scrittore Michele Mari ebbe a dire

    … Ma questi giornalini, sono impartecipabili, sono il fiore della mia infanzia, capisci, dunque sono la mia essenza,se me li togli mi uccidi, toglimi la Divina Commedia, toglimi Moby Dick oppure prendi Aulo Gellio, tutta la Loeb, vuoi il Battaglia? Vuoi i Rerum Italicarum Scriptores, il Ramusio? Ma non chiedermi Kamumilla Kokobì, non chiederlo mai…amasultra.
    Altre edizioni: gran parte delle storie si possono leggere nei volumi di dedicati a Cocco Bill, pubblicati da Stampa Alternativa: Coccobill mezzo secolo di risate western (2007) e Il giorno di Cocco Bill (2009).
    PINOCCHIO
    (AVE-F.lli Spada, 1964)


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    Non è un adattamento a fumetti della fiaba ma potrebbe esserlo, vista l’incredibile sequenza d’immagini a cui Jacovitti ci sottopone: mancano solo le nuvolette, ed il testo quasi scompare. Un lavoro che ha dell’incredibile, sia dal punto di vista artistico che creativo; le illustrazioni a pagina doppia sono tutt’ora degli esempi insuperati di creatività, disegno e composizione.
    Un capolavoro assoluto.
    ..
    NON SI AFFETTANO COSÌ ANCHE I SALAMI? LA TRISTE FINE DI JACOVITTI

    Sauro Pennacchioli 8 novembre 2016


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    Chi ha fatto fuori Benito Jacovitti (1923 – 1997), il più grande autore di fumetti italiano?
    [​IMG]Proviamo a tornare nel clima della Milano degli anni settanta. Nel 1968 è iniziata la contestazione studentesca (che durerà fino al rapimento Moro) e per tutto il decennio si sentirà l’eco della bomba esplosa nel 1969 a piazza Fontana facendo 17 morti. Inizialmente le indagini sull’attentato vengono orientate verso i gruppi anarchici, perché è ancora forte il ricordo di una strage anarchica, anche peggiore per numero di morti, avvenuta nel 1921 sempre a Milano. E perché un taxista di fede comunista giura di avere visto Pietro Valpreda, un ballerino anarchico, portare una valigetta nera nella banca. Valpreda risulterà innocente, ma, di fronte a una testimonianza diretta, la sua detenzione è inevitabile per le leggi dell’epoca. Il fatto che sia stato imprigionato un uomo di sinistra crea il putiferio tra i contestatori: si inventa che, per esempio, durante un “confronto all’americana” Valpreda fosse l’unico vestito in maniera sportiva (la foto che dovrebbe provarlo, però, era stata scattata in tribunale e non c’entra niente con il riconoscimento). A giudicare da quello che si legge sulla Wikipedia, l’interpretazione dietrologica di questo grave errore giudiziario persiste ancora.
    Disgressione: dopo che era stato scarcerato, con altri ragazzini incontrai casualmente Valpreda in via Dante, in attesa di un tram che non poteva arrivare perché avevamo bloccato il centro di Milano con una manifestazione. Credendo di essere spiritosi, gli dicevamo: “Come? Vai ancora in giro con una valigetta nera? Ma allora ami il rischio!”. (Penso facesse il rappresentante per la Feltrinelli).
    Un anarchico amico e supposto complice di Valpreda, Giuseppe Pinelli, muore precipitando da una finestra della questura dopo essere stato interrogato dagli uomini del commissario Luigi Calabresi. Anche se Gerardo D’Ambrosio (un magistrato comunista che diverrà noto per le indagini di “Mani pulite” insieme ad Antonio Di Pietro) stabilisce che nessuno ha buttato Pinelli giù dalla finestra, ogni milanese “per bene” sottoscrive la petizione che accusa il commissario Calabresi di essere il suo assassino. Una campagna di stampa alimentata dalle solite tesi complottiste che porterà all’omicidio dell’innocente Calabresi da parte dell’organizzazione di estrema sinistra Lotta Continua.
    Per saperlo non ho dovuto aspettare il processo ad Adriano Sofri, perché negli anni settanta gli esponenti milanesi di Lc si vantavano apertamente di avere fatto fuori l’odiato commissario “assassino” (almeno con me).
    Negli anni settanta a Milano, quindi, i buoni credevano che la bomba ce l’aveva messa lo Stato, e che pure Pinelli era stato ucciso per fermare la grande rivoluzione comunista in atto. Per costoro lo Stato era in procinto di instaurare un regime dittatoriale, come certo era nelle velleità di alcuni militari (quando non erano occupati a fregare nei vettovagliamenti) e dell’intrallazzone Licio Gelli. Invece i cattivi non credevano che i vertici dello Stato stessero ordendo complotti, pensavano che tutte queste storie di rivoluzioni e di colpi di stato fossero fantasie onanistiche di estremisti rossi e neri fortunatamente incapaci di realizzare alcunché. I buoni avevano una crescente influenza sulla grande editoria e sulle agenzie pubblicitarie, mentre i cattivi contavano sempre meno nel mondo della comunicazione. Anni dopo, Giorgio Gaber gli dedicherà il brano “Quando è moda è moda”.
    Questa lunga premessa per dire che Benito Jacovitti, il più famoso disegnatore di fumetti dell’epoca, scelse di stare dalla parte dei cattivi. Quelli che non credevano alla rivoluzione imminente e agli omicidi organizzati dallo Stato per bloccarla.
    La corsa di Jacovitti verso il baratro inizia alla fine degli anni sessanta, quando porta i suoi celebri personaggi nel “Corriere dei Piccoli”.
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    Cocco Bill, nato nel decennio precedente ne “Il Giorno dei Ragazzi”, inserto settimanale del quotidiano “Il Giorno”, era l’unico personaggio dei fumetti del quale si potevano vedere i cartoni animati nelle pubblicità televisive.
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    Jacovitti era l’anti-Disney. Da bambino, dei Beatles e dei Rolling Stones non me ne fregava niente, per me la lotta era tra gli eversivi cartoni animati del Braccio di Ferro di Max Fleischer contro i perbenisti personaggi della Disney. In Jacovitti vedevo l’incarnazione a fumetti dei cartoni anarcoidi di Fleischer. Secondo me il piccolo Jac rimase colpito dai cartoni di Fleischer che suo padre, proiezionista al cinema, doveva avergli fatto vedere: anche se come fonte di ispirazione citerà solo il Braccio di Ferro dei fumetti, quello di Elzie Segar, e anche se gli elementi surreali di Jacovitti si evidenziarono in maniera definitiva solo alla fine della guerra attraverso la parodia del metafisico De Chirico (stranamente, non del surrealista Dalì).
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    Jacovitti era l’autore più amato del “Corriere dei Piccoli”, all’inizio degli anni settanta divenuto “Corriere dei Ragazzi” (poco dopo una versione più infantile del “Corriere dei Piccoli” tornava in edicola sdoppiando il settimanale).
    Altro punto di forza del CdP/CdR erano i personaggi francobelgi, ma anche i fumetti comici italiani non erano da meno. C’erano le strisce di Zio Boris di Alfredo Castelli e Carlo Peroni. Castelli scriveva anche Otto Krunz, con i disegni di Daniele Fagarazzi, e la rubrica Tilt, disegnata da Bonvi e altri. L’Omino Bufo, invece, Castelli se lo disegnava da sé. C’erano Altai & Jonson di Tiziano Sclavi e Giorgio Cavazzano, il fumetto più divertente in assoluto del CdR. Quindi il micidiale Lupo Alberto di Silver, Nick Carter di De Maria e Bonvi, lo Zoo Pazzo di Gomboli e Mattioli, la Contea di Colbrino e Ulisse di Carnevali. Tutti personaggi azzeccati e magnificamente realizzati. Soprattutto, c’erano sempre gli impareggiabili fumetti di Jacovitti. Ma se la maggioranza degli autori era da annoverare tra i buoni, quelli che “sapevano” del complotto dello Stato per instaurare la dittatura, Jacovitti aveva esordito nel CdP con una maestra che insegue armata di lazo gli alunni discoli, mentre Cocco Bill ride a crepapelle: “E che movimento! Un bel Movimento Studentesco!”.
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    [​IMG]Eresia! Attaccare anche blandamente il Movimento Studentesco negli anni settanta voleva dire essere espulsi dal consesso civile milanese (lo dico io che di quel movimento, dal 1974 al 1978, ho fatto parte in qualità di studente liceale). Peggio ancora, durante le campagne elettorali Jacovitti realizzava vignette in favore del partito al governo, la Democrazia Cristiana, per “La Notte”, un quotidiano del pomeriggio considerato fascista o poco meno. Quando spararono alle gambe di Indro Montanelli, il direttore de “Il Giornale”, furono in molti a brindare: per un fumettaro come Jacovitti bastava meno.
    [​IMG]La mia ipotesi è che Jacovitti comincia a essere osteggiato all’interno del Corriere dei Ragazzi. Di certo, viene messo in discussione dal punto di vista professionale. Siccome con la sua improvvisazione creativa (alla Totò) non sembra più in grado di gestire lunghe storie a puntate, cominciano a venirgli commissionati solo episodi brevi come questo di Zorry Kid.
    ...
    ..
    Alla richiesta di storie ancora più brevi, Jacovitti risponde con la nuova serie di Jak Mandolino, il gangster sfigato. Nella quale, in effetti, può esibire il proprio talento umoristico al massimo grado.
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    Mentre nella successiva misera doppia pagina di Cip l’Arcipolizottto (con tre “ti”), la fantasia di Jacovitti viene sicuramente sacrificata.
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    A un certo punto Jacovitti non lavora più per il Corriere dei Ragazzi. Perché? L’hanno buttato fuori o indotto ad andarsene sminuendo continuamente il suo lavoro? C’è da dire che anche diverse serie comiche di altri autori vengono interrotte. Iniziativa del direttore o dell’editore? In ogni caso, negli anni settanta, salvo i primi della classe, nessun lettore apprezza la spocchia del CdR ereditata dal vecchio CdP. Il pubblico preferisce storie grintose con il colpo di scena finale, come quelle argentine pubblicate dai “Lanciostory” e “Skorpio” dei tempi d’oro.
    Jacovitti è ormai isolato. Prova a lanciare una serie su Linus, sostenuto dal direttore Oreste Del Buono, che secondo me aveva conosciuto al quotidiano “Il Giorno” alla fine degli anni cinquanta. Del Buono, però, è un direttore debole perché, per quello che ho potuto vedere io, sta sempre negli uffici di un’altra casa editrice a occuparsi di romanzi in qualità di editor. Può far poco quando alcuni lettori, collaboratori e redattrici reagiscono male agli sfottò trasversali che Jacovitti rivolge al movimento degli studenti (“raglia raglia, giovane Itaglia” scrive nel suo fumetto). In precedenza, si era comportata così anche la redazione del Corriere dei Ragazzi?
    Non piovono più commissioni per Jacovitti, mentre prima c’era la fila anche per il merchandising. Torna al “Corriere dei Ragazzi”, forse grazie al cambio di direttore, ma ormai questa testata, che aveva incautamente rinunciato a lui, ha i mesi contati. A un certo punto, pur di lavorare, Jac si imbarca in iniziative equivoche dal punto di vista finanziario o suicide da quello dell’immagine, come un Kama Sutra umoristico e una serie di vignette erotiche per il mensile scollacciato “Playmen” (una imitazione di “Playboy”).
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    Alla fine Jacovitti porta Cocco Bill nel settimanale cattolico “Il Giornalino”, ma quando esce la sua produzione erotica la collaborazione cessa per “incompatibilità”. Viene espulso anche dal diario scolastico Vitt, un tempo vendutissimo, sempre a causa dei fumetti porno di Jacovitti, che disturba pure questo altro editore cattolico.
    Dopo l’estrema sinistra fighetta, Jacovitti si aliena così anche il mondo cattolico tradizionalista, che pure lo aveva svezzato e lanciato alla fine degli anni trenta nelle pagine del glorioso settimanale “Il Vittorioso”.
    Nei primi anni ottanta, la creatività di Jacovitti subisce un tracollo. “Linus”, dopo avere riallacciato la collaborazione, gli blocca un nuovo un personaggio, Joe Balordo, ma stavolta per motivi più che fondati. Ecco alcune tavole sparse a mo’ di esempio.
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    Dice bene il critico Vittorio Sgarbi, quando definisce l’arte di Jacovitti come quella di un bambino mai cresciuto: con i pro e i contro, aggiungo io. In tarda età sono molti di più i contro.
    A metà anni ottanta arriva il tracollo fisico a causa della malattia, che gli impedisce di disegnare decentemente. Ormai Jac dovrebbe ritirarsi in pensione, invece insiste nel produrre fumetti di livello sempre più infimo, come il Cocco Bill per la Bonelli.
    In conclusione, Jacovitti, trovatosi escluso dagli ambienti giusti negli anni settanta, aveva finito per perdere la bussola e, alla fine, pure il talento.
    Disgressione. Quando nel 1978 lavoravo alla progettazione dell’agenda Smemoranda, mi proposero di inserire l’intervista a un noto autore satirico perché era iscritto alla nostra organizzazione. Siccome sapevo che era tra quelli che avevano richiesto la cacciata di Jacovitti da “Linus” perché “fascista”, lasciai perdere l’intervista.
    Jacovitti è stato davvero espulso dal giro grosso, quando era al massimo delle sue potenzialità e della popolarità, perché considerato “reazionario” e perché nuovi autori “rivoluzionari” come Alfredo Chiappori (il quale aveva una pagina settimanale su “Panorama” oltre uno spazio fisso su “Linus”) erano più bravi di lui? Ah, saperlo.


     
  7. olandiano

    olandiano User

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  8. pulga1989

    pulga1989 User

    Jajajajaja :D
     
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  9. embriaco

    embriaco User


    Emiliano Zapata
    (1879/08/08 - 1919/04/10)


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    Emiliano Zapata Salazar

    Líder revolucionario y reformador agrarista mexicano



    Nació el 8 de agosto de 1879 en Anenecuilco, estado de Morelos (México).

    Fue el noveno de los diez hijos de Gabriel Zapata y Cleofas Gertrudis Salazar, pequeños propietarios de tierras, naturales de Nahua y con ascendencia española. Su abuelo paterno participó en la Toma de Cuernavaca en la guerra contra Maximiliano.

    Ante su pobreza, la familia Zapata diversificó sus actividades encaminándolas a la pequeña ganadería. De ese modo los animales les permitieron autonomía de la hacienda azucarera vecina.


    Zapata siguió la educación primaría en la escuela de la aldea recibiendo una educación limitada de su maestro, Emilio Vara. A los 16 años perdió a su madre y 11 meses más tarde, a su padre. El patrimonio que heredó fue reducido, pero suficiente para no tener que emplearse como peón en alguna de las ricas haciendas que rodeaban Anenecuilco. Desde muy temprana edad, advirtió las grandes injusticias que se cometían en contra de quienes trabajaban la tierra. Años antes del estallido de la revolución, trabajó en una de las haciendas de Ignacio de la torre, yerno de Porfirio Díaz. Zapata era el único en quien confiaba para cuidar sus caballos.

    En 1902 ayudó a las personas del pueblo de Yautepec (Morelos) que tenían problemas con el hacendado Pablo Escandón, acompañándolos a ciudad de México para exigir que se les hiciera justicia. En 1906 asistió a una junta de campesinos en Cuautla, para discutir la forma de defender frente a los hacendados vecinos las tierras del pueblo. Como represalia, en 1908 se vio forzado a incorporarse al noveno regimiento de Cuernavaca, forma de castigo, a la que se le conocía como leva, y que era frecuente durante el porfirismo.

    En septiembre de 1909 fue electo presidente de la junta de defensa de las tierras de Anenecuilco. Reunió un ejército de peones, la mayoría de ellos indígenas de Morelos, y con "Tierra y Libertad" como grito de guerra pasó a formar parte en 1910 de la Revolución Mexicana de Francisco I. Madero, que pretendía acabar con el régimen de Porfirio Díaz. Zapata comenzó su guerrilla en marzo de 1911, tomaron Jojutla, Chinameca, y sitió Cuautla que estaba defendida por los porfiristas. Más tarde tomó Cuernavaca. Al triunfo de los maderistas, Zapata se negó a deponer las armas ya que todavía no se habían devuelto las tierras a los indígenas. Mientras tanto los hacendados comenzaron hacer una campaña en contra de Zapata, tratándolo como un bandido.

    Dejó de confiar en Madero, que comenzó a ejercer como presidente en 1911, y se declaró en su contra el 25 de noviembre de 1911, formulando su propio programa de reforma agraria (conocido con el nombre de Plan de Ayala), mediante el que pensaba redistribuir la tierra entre los campesinos. El primer reparto de tierras de Zapata fue en Ixmiquilpan, Puebla, el 30 de abril de 1912. En febrero de 1913, Victoriano Huerta protagoniza un golpe de estado contra Madero y toma la presidencia mandando detener a éste, quien mas tarde muere asesinado. Durante las presidencias del dictador Victoriano Huerta (1913-1914) y del presidente constitucionalista Venustiano Carranza (1914-1920), continuó con sus movimientos en contra del gobierno, extendiendo su poder por todo el sur de México. Por entonces se le conocía como el Caudillo del Sur, y estaba aliado con Francisco Villa.

    Junto a Pancho Villa, que había aceptado el Plan de Ayala, entró en la ciudad de México en 1914. Un año después se trasladó a Morelos, donde prosiguió con la defensa de sus posiciones, frente a las tropas constitucionalistas. Zapata durante este tiempo creó las primeras Comisiones Agrarias, estableció el Crédito Agrícola además que inauguró la Caja Rural de Prestamos en Morelos. Luego, en octubre de 1915, el gobierno de la Convención promulgó la Ley Agraria. Tras la toma de la capital de la República por los constitucionalistas, Carranza encargó la campaña del Sur contra de Zapata al general Pablo González, quien el 2 de mayo de 1916 ocupó Cuernavaca. Junto a Luis Patiño fraguaron un plan para hacer creer a Zapata que el coronel Jesús Guajardo no reconocía al gobierno de Carranza.

    Una vez ganada su confianza, el 10 de abril de 1919 fue asesinado en una emboscada organizada por Jesús Guajardo, en la hacienda de Chinameca, Morelos. 17. El cadáver de Zapata fue expuesto al público sobre una caja en la inspección de policía. La acción causó una enérgica condena de la opinión pública y de gran parte de los propios sectores constitucionalistas. El 16 de julio de 1920, Guajardo fue capturado en Monterrey y fusilado al día siguiente. El 2 de julio se rebeló en la región de La Laguna en contra del presidente provisional Adolfo de la Huerta, razón por la que fue ejecutado, y no por la muerte de Zapata.

    Según el historiador Edgar Zapata, bisnieto del general, el Caudillo del Sur mantuvo relaciones sentimentales con 28 mujeres, con las que tuvo 30 hijos, sin embargo sólo 10 llegaron a la edad adulta. Tras su muerte, muchos de sus hijos fueron escondidos para evitar represalias del gobierno.


    Corrido de la Muerte de Emiliano Zapata

    Armando Liszt Arzubide

    Escuchen, señores, oigan el corrido,
    De un triste acontecimiento;
    Pues en Chinameca fue muerto a mansalva
    Zapata, el gran insurrecto
    Abril de mil novecientos
    Diecinueve, en la memoria
    Quedaras del campesino
    Como una mancha en la historia

    Campanas de Villa Ayala,
    ¿por que tocan tan doliente?
    Es que ya murió Zapata
    Y era Zapata un valiente

    El buen Emiliano que amaba a los pobres
    Quiso darles libertad;
    Por eso los indios de todos los pueblos
    Con el fueron a luchar

    De Cuautla hasta Amecameca,
    Matamoros y el Ajusco,
    Con los pelones del viejo
    Don Porfirio se dio gusto

    Trinitaria de los campos
    De las vegas de Morelos,
    Si preguntan por Zapata,
    Di que ya se fue a los Cielos

    Dice a su fiel asistente
    Cuando andaba por las sierras;
    Mientras yo viva, los indios
    Serán dueños de sus tierras

    Amapolita olorosa
    De las lomas de Guerrero,
    No volverás a ver nunca
    Al famoso guerrillero

    Con gran pesadumbre le dice a su vieja:
    Me siento muy abatido,
    Pues todos descansan, yo soy peregrino,
    Como pájaro sin nido

    Generales van y vienen
    Dizque para apaciguarlo;
    Y no pudiendo a la buena
    Un plan ponen pa' engañarlo

    Canta, canta, gorrioncito,
    Di en tu canción melodiosa;
    Cayo el general Zapata
    En forma muy alevosa

    Don Pablo González ordena a Guajardo
    Que le finja un rendimiento,
    Y al jefe Zapata disparan sus armas
    Al llegar al campamento

    Guajardo dice a Zapata:
    Me le rindo con mi tropa,
    En Chinameca lo espero,
    Tomaremos una copa

    Arroyito revoltoso,
    ¿que te dijo aquel clavel?
    Dice que no ha muerto el jefe,
    Que Zapata ha de volver

    Abraza Emiliano al felón Guajardo
    En prueba de su amistad,
    Sin pensar el pobre que aquel pretoriano
    Lo iba yo a sacrificar

    Y tranquilo se dirige
    A la hacienda con su escolta;
    Los traidores le disparan
    Por la espalda a quemarropa

    Jilguerito mañanero
    De las cumbres soberano,
    Y mira en que forma tan triste
    Ultimaron a Emiliano!

    Cayo del caballo el jefe Zapata
    Y también sus asistentes
    Así en Chinameca perdieron la vida
    Un puñado de valientes

    Señores, ya me despido,
    Que no tengo novedad
    Cual héroe murió Zapata
    Por dar tierra y libertad

    A la orilla de un camino
    Había una blanca azucena,
    A la tumba de Zapata
    La llevé como una ofrenda...
    ...
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    ..
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  10. embriaco

    embriaco User

    Senza un’immagine – Cees Nooteboom

    Nov30
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    Gérard Laurenceau, Marine d’Albo, 2006
    Senza un’immagine appare una poesia,
    forma che ancora deve generarsi
    dal territorio delle parole,
    ereditata da chi non ho mai conosciuto.
    Linguaggio, levigato nei sogni, sui pulpiti,

    impastato nei letti, in camere solitarie,
    da usarsi in vita e in morte, arma
    nella lotta contro il caso, astuzia
    del destino.
    Chi eravamo, il nostro cammino

    attraverso l’enigma
    sta scritto nelle parole,
    scrittura come figlia della lingua,
    sussurro, lamento, il midollo
    dei pensieri,
    testamento di un’emozione

    svanita, suono di decreti per il futuro
    quando la folla si disperderà
    dirigendosi alla sua muta
    casa.
    Cees Nooteboom
    (Traduzione di Fulvio Ferrari)

    da “Luce ovunque (2012- 1964)”, Einaudi, Torino, 2016
    ∗∗∗
    Zonder beeld
    Zonder beeld verschijnt een gedicht,
    vorm die nog moet ontstaan
    uit het domein van de woorden,
    geërfd van wie ik nooit kende.
    Taal, geslepen in dromen, op kansels,

    gekneed in bedden, eenzame kamers,
    te gebruiken bij leven en dood, wapen
    in de strijd tegen het toeval, de list
    van het lot.
    Wie we waren, onze gang

    door het raadsel,
    het staat in woorden geschreven,
    schrift als een dochter van spreken,
    gefluister, gejammer, de merg
    van gedachten,
    testament van verdwenen

    ontroering, toon van decreten voor later
    als de menigte weg raakt,
    vertrokken naar haar sprakeloos
    huis.
    Cees Nooteboom
    da “Licht overal: gedichten”, Amsterdam: De Bezige Bij, 2014



    Ott24
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    Michael Kenna, The Cob, Study 2, Lyme Regis, Dorset, England, 1997
    Ma sono poi davvero chiare le tue idee?
    domandò il postino. In quell’istante
    si oscurò il cielo,
    ma non fu per quello,
    qui succede sempre cosí,
    da un momento all’altro.
    Pioverà, disse, e cosí accadde.

    Grosse gocce. Dietro di lui vedevo la baia,
    un aereo pesante tra le nubi,
    lento. Atterrava.
    Che ne è di tali momenti?

    Quanto brusio può andare perduto?
    Quali dialoghi possono non
    infrangersi contro il muro del tempo, in mancanza
    di memoria, da qualche parte, laggiú
    in un sogno?
    Finzione, una casa su una collina,

    il salmo della pioggia, pagina sei,
    portalettere, discesa, sentiero di collina,
    entrando nell’oblio,
    il suo, il mio,
    il lardo del tempo.
    Come qualcuno volta una pagina

    senza averla letta,
    tutto scritto per niente.

    Cees Nooteboom
    (Traduzione di Fulvio Ferrari)
    da “Luce ovunque (2012- 1964)”, Einaudi, Torino, 2016
    ∗∗∗
    Post
    Maar hoe helder zijn je ideeën dan,
    vroeg de postman. Op dat ogenblik
    verduisterde de hemel,
    maar dat had er niets mee te maken,
    dat gaat hier altijd zo,
    van het ene ogenblik op het andere.
    Dat wordt regen, zei hij, en zo was het.

    Dikke druppels. Achter hem zag ik de baai,
    een vliegtuig loodzwaar in wolken,
    langzaam. Het landde.
    Waar blijven zulke secondes?

    Hoeveel geruis kan worden gemist?
    Welke gesprekken kunnen niet worden
    verpulverd tegen de tijdmuur, in een gebrek
    aan geheugen, ergens onderaan
    in een droom?
    Fictie, een huis op een heuvel,

    de psalm van de regen, pagina zes,
    postbode, afdaling, heuvelpad,
    de vergetelheid in,
    de zijne, de mijne,
    het spek van de tijd,
    zoals iemand een bladzij omslaat

    zonder te hebben gelezen,
    alles geschreven voor niets.
    Cees Nooteboom
    da “Zo kon het zijn”, Baarn: Atalanta Pers, 1998



    Ott18
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    Foto di Nicola Bertellotti
    in memoria di Hugo Claus

    La sedia azzurra sulla terrazza, caffè, sera,
    l’euforbia si tende verso divinità assenti,
    nostalgica della costa, ogni cosa un alfabeto
    di desideri segreti, questa è la sua
    ultima visione prima del buio,
    il velo dentro la sua testa. Lui sa,

    svaniranno le forme delle parole,
    nel calice solo la feccia,
    linee tra loro scollegate
    che un tempo erano pensieri,

    non verrà piú parola alcuna
    che sia vera. Grammatica sbriciolata,
    immagini sfocate senza legame,
    del vento il suono

    ma non piú il nome,
    qualcuno l’ha detto
    e la morte era distesa sul tavolo,
    domestico pigro, in attesa

    in corridoio, sorride stupidamente
    sfogliando il giornale
    con le sue folli notizie.
    Tutto questo lui lo sa, l’euforbia,

    la sedia azzurra, il caffè in terrazza,
    il giorno che lentamente lo avvolge
    e se lo porta via a nuoto,
    animale mansueto
    con la sua preda.

    Cees Nooteboom
    (Traduzione di Fulvio Ferrari)
    da “Luce ovunque (2012- 1964)”, Einaudi, Torino, 2016
    ∗∗∗
    Avond
    in memoriam Hugo Claus


    De blauwe stoel op het terras, koffie, avond,
    de euforbia reikend naar afwezige goden,
    vol heimwee naar de kust, alles een alfabet
    van geheime verlangens, dit is zijn
    laatste gezicht voor het duister,
    het floers in zijn hoofd. Hij weet,

    verdwijnen zullen de vormen van woorden,
    in zijn kelk alleen nog maar droesem,
    de lijnen niet meer verbonden
    die vroeger gedachten waren,

    hier komt geen woord meer
    dat waar is. Vergruisde grammatica,
    bewogen beelden zonder brug,
    van de wind het geluid

    maar niet meer de naam,
    iemand heeft het gezegd
    en de dood lag op tafel,
    een trage bediende, wachtend

    in de gang, dom lachend,
    bladerend in zijn krant
    met ontzinde berichten.
    Dit alles weet hij, de euforbia,

    de blauwe stoel, de koffie op het terras,
    de dag die hem langzaam omwikkelt
    en dan met hem wegzwemt,
    een zachtmoedig dier
    met zijn prooi.

    Cees Nooteboom
    da “Licht overal: gedichten”, Amsterdam: De Bezige Bij, 2014
     
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    Traduzione di Paragrafo 7, Libro 1 di Seneca


    Versione originale in latino

    Seneca Lucilio suo salutem
    Quid tibi vitandum praecipue existimes quaeris? turbam. Nondum illi tuto committeris. Ego certe confitebor imbecillitatem meam: numquam mores quos extuli refero; aliquid ex eo quod composui turbatur, aliquid ex iis quae fugavi redit. Quod aegris evenit quos longa imbecillitas usque eo affecit ut nusquam sine offensa proferantur, hoc accidit nobis quorum animi ex longo morbo reficiuntur. Inimica est multorum conversatio: nemo non aliquod nobis vitium aut commendat aut imprimit aut nescientibus allinit. Utique quo maior est populus cui miscemur, hoc periculi plus est. Nihil vero tam damnosum bonis moribus quam in aliquo spectaculo desidere; tunc enim per voluptatem facilius vitia subrepunt. Quid me existimas dicere? avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui. Casu in meridianum spectaculum incidi, lusus exspectans et sales et aliquid laxamenti quo hominum oculi ab humano cruore acquiescant. Contra est: quidquid ante pugnatum est misericordia fuit; nunc omissis nugis mera homicidia sunt. Nihil habent quo tegantur; ad ictum totis corporibus ex positi numquam frustra manum mittunt. Hoc plerique ordinariis paribus et postulaticiis praeferunt. Quidni praeferant? non galea, non scuto repellitur ferrum. Quo munimenta? quo artes? omnia ista mortis morae sunt. Mane leonibus et ursis homines, meridie spectatoribus suis obiciuntur. Interfectores interfecturis iubent obici et victorem in aliam detinent caedem; exitus pugnantium mors est. Ferro et igne res geritur. Haec fiunt dum vacat harena. 'Sed latrocinium fecit aliquis, occidit hominem.' Quid ergo? quia occidit, ille meruit ut hoc pateretur: tu quid meruisti miser ut hoc spectes? 'Occide, verbera, ure! Quare tam timide incurrit in ferrum? quare parum audacter occidit? quare parum libenter moritur? Plagis agatur in vulnera, mutuos ictus nudis et obviis pectoribus excipiant.' Intermissum est spectaculum: 'interim iugulentur homines, ne nihil agatur'. Age, ne hoc quidem intellegitis, mala exempla in eos redundare qui faciunt? Agite dis immortalibus gratias quod eum docetis esse crudelem qui non potest discere.
    Subducendus populo est tener animus et parum tenax recti: facile transitur ad plures. Socrati et Catoni et Laelio excutere morem suum dissimilis multitudo potuisset: adeo nemo nostrum, qui cum maxime concinnamus ingenium, ferre impetum vitiorum tam magno comitatu venientium potest. Unum exemplum luxuriae aut avaritiae multum mali facit: convictor delicatus paulatim enervat et mollit, vicinus dives cupiditatem irritat, malignus comes quamvis candido et simplici rubiginem suam affricuit: quid tu accidere his moribus credis in quos publice factus est impetus? Necesse est aut imiteris aut oderis. Utrumque autem devitandum est: neve similis malis fias, quia multi sunt, neve inimicus multis, quia dissimiles sunt. Recede in te ipse quantum potes; cum his versare qui te meliorem facturi sunt, illos admitte quos tu potes facere meliores. Mutuo ista fiunt, et homines dum docent discunt. Non est quod te gloria publicandi ingenii producat in medium, ut recitare istis velis aut disputare; quod facere te vellem, si haberes isti populo idoneam mercem: nemo est qui intellegere te possit. Aliquis fortasse, unus aut alter incidet, et hic ipse formandus tibi erit instituendusque ad intellectum tui. 'Cui ergo ista didici?' Non est quod timeas ne operam perdideris, si tibi didicisti.
    Sed ne soli mihi hodie didicerim, communicabo tecum quae occurrunt mihi egregie dicta circa eundem fere sensum tria, ex quibus unum haec epistula in debitum solvet, duo in antecessum accipe. Democritus ait, 'unus mihi pro populo est, et populus pro uno'. Bene et ille, quisquis fuit - ambigitur enim de auctore -, cum quaereretur ab illo quo tanta diligentia artis spectaret ad paucissimos perventurae, 'satis sunt' inquit 'mihi pauci, satis est unus, satis est nullus'. Egregie hoc tertium Epicurus, cum uni ex consortibus studiorum suorum scriberet: 'haec' inquit 'ego non multis, sed tibi; satis enim magnum alter alteri theatrum sumus'. Ista, mi Lucili, condenda in animum sunt, ut contemnas voluptatem ex plurium assensione venientem. Multi te laudant: ecquid habes cur placeas tibi, si is es quem intellegant multi ? introrsus bona tua spectent. Vale.
    Traduzione all'italiano

    Seneca saluta il suo Lucilio.
    Tu vuoi sapere che cosa ritengo si debba principalmente evitare? La folla. Non la puoi ancora frequentare senza pericolo. Io almeno confesserò la mia debolezza: riporto a casa quei costumi che ho portato fuori. Quel poco che avevo messo in ordine viene turbate, ritorna qualcuno dei vizi che avevo cacciato. Ciò che succede agli ammalati che una lunga infermità ha afflitto a tal punto che non possono uscire senza danno, questo stesso succede pure a noi: anche i nostri animi stanno rimettendosi da una lunga malattia. La dimestichezza con la folla è nociva: ognuno o ci raccomanda un vizio o ce lo trasmette o ci unge senza che noi ce ne accorgiamo. Ed il pericolo è tanto più grande quanto più grande è la folla nella quale ci confondiamo. In verità che cosa può esserci di più dannoso ala virtù che poltrire assistendo ad uno spettacolo? Infatti allora i vizi, favoriti dal piacere più facilmente si insidiano nell'animo. Che cosa pensi che io dica? Ritorno a casa non solo più avido di beni materiali, ma anche più crudele più inumano perché sono stato tra gli uomini. Per caso capitai in uno spettacolo meridiano aspettandomi giochi e facezie e qualcosa di riposante con cui gli occhi degli uomini si possono riposare dalla vista del sangue umano. È tutto il contrario: i combattimenti precedenti erano opera di misericordia; ora lasciate da parte le bazzecole, avvengono veri e propri omicidi. I gladiatori non hanno nulla con cui proteggersi. Esposti ai colpi in tutto il corpo, mai spingono avanti invano la mano armata. Questo genere di lotta i più lo preferiscono alle coppie di gladiatori ordinarie e straordinarie. E perché non dovrebbero preferirli? La spada non può essere respinta con l'elmo, con lo scudo. A che cosa servono le difese? A cosa servono le schermaglie? Tutte queste cose sono indugi alla morte. Al mattino gli uomini sono gettati ai leoni e agli orsi, a mezzogiorno ai loro spettatori. Gli spettatori ordinano che gli uccisori siano gettati in pasto a quelli che gli uccideranno e riservano il vincitore per un'altra strage: il risultato dai combattimenti è la morte: si combatte col ferro e col fuoco. Queste cose accadono mentre l'arena è vuota! "Ma qualcuno ha commesso un furto ed ucciso un uomo". E allora? Quello perché ha ucciso ha meritato di subire ciò e tu sciagurato che pena hai meritato per guardare questo? "Uccidilo, colpiscilo, brucialo! Ma perché va in contro alla spada con tanto timore? Perché uccide con poca audacia, perché muore poco volentieri. Lo si spinga con le botte in contro alle ferite: ricevano colpi reciproci con i petti nudi e posti l'uno di fronte all'altro". Lo spettacolo è sospeso: "Nel frattempo si sgozzino altri uomini affinché non si stia a far niente". Suvvia non comprendete che i cattivi esempi ricadano sopra quelli che li fanno. Ringraziate gli dei immortali perché insegnate ad essere crudele a colui che non può imparare (si riferisce a Nerone).
    Va tenuto lontano dalla folla l'animo debole e poco saldo nel bene: è facile passare dalla parte dei più (maggioranza). Una massa dissimile avrebbe potuto strappare i costumi (principi) persino a Socrate, Catone, Lelio; nessuno di noi, nel momento in cui cerchiamo di accordare il nostro spirito (soprattutto quando il nostro carattere è in formazione), può resistere alla pressione dei vizi che arrivano con grande seguito. Un solo esempio di mollezza o di avarizia fa molto male (produce gravi danni): un commensale dedito ai piaceri a poco a poco ci rende fiacchi e molli, un vicino ricco incita il desiderio (scatena la tua avidità), un compagno malvagio, per quanto candido e semplice attacca la sua ruggine (contamina anche un uomo semplice e puro): che cosa pensi che succeda a quei caratteri contro i quali fa impeto tutta una folla? E' necessario che o li imiti o li odi. Ma sono da evitare l'uno e l'altro (estremo): non devi assimilarti ai malvagi, perché sono molti, né essere nemico di molti, perché sono dissimili. Ritirati in te stesso per quanto puoi; frequenta le persone che possono renderti migliore e accogli quelli che puoi rendere migliori. Il vantaggio è reciproco perché mentre gli uomini insegnano, imparano. Non c'è ragione per cui il desiderio di gloria debba spingerti a esibire a tutti il tuo ingegno in mezzo alla folla, con la voglia di tenere pubbliche letture o di dissertare; ti consiglierei di agire così, se tu avessi merce adatta alla massa, ma non c'è nessuno in grado di capirti. Forse qualcuno, uno o due capiranno, e tu dovrai formarlo ed educarlo perché ti possa capire. "Ma allora, per chi ho imparato tutto questo?" Non è il caso che tu tema di aver perso il tuo tempo, se hai imparato per te.
    Ma per evitare di aver imparato solo per me oggi, ti scriverò tre belle massime che mi è capitato di leggere all'incirca sullo stesso argomento: di queste una salda il mio debito per questa lettera, le altre due prendile come anticipo. Scrive Democrito: "Secondo me, una sola persona vale quanto tutto il popolo e il popolo quanto una sola persona." Dice bene anche quell'altro, chiunque sia stato (è incerto, infatti, di chi si tratti); gli chiedevano perché si applicasse con tanto impegno a una materia che pochissimi avrebbero compreso, rispose: "A me bastano poche persone, anzi anche una sola o addirittura nessuna." Eccellente anche questa terza affermazione, di Epicuro; in una sua lettera a un compagno di studi: "Io parlo non per molti, ma per te;" scrive, "noi siamo l'uno per l'altro un teatro sufficientemente grande." Devi, caro Lucilio, serbare in te queste massime, per disprezzare il piacere che deriva dal consenso generale. Molti ti lodano; ma perché dovresti rallegrarti se sono in tanti a capirti? I tuoi meriti ricerchino l'approvazione della tua coscienza. Stammi bene.
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  13. pulga1989

    pulga1989 User

    Yes friend he is a hero of mexico, viva emiliano zapata, saludos desde México amigos..
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  14. embriaco

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  15. BLONDI2011

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  16. embriaco

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    Porta Siberia



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    [​IMG]Planimetria
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    Categoria: Opere Monumentali
    Denominazione Porta Siberia
    Denominazione originale Porta del Molo
    Ubicazione
    Circoscrizione: Centro Est
    Indirizzo: Via del Molo

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    [​IMG]Lapide di Jacopo Bonfadio
    Sull’architrave della Porta, nel prospetto a mare, è posta una lapide attribuita a Jacopo Bonfadio, che visse a lungo a Genova, dove insegnò filosofia, protetto dal ricco mecenate Grimaldi. Bonfadio venne condannato a morte nel 1550, per motivi ignoti. La lapide, però, è datata 1553, perciò si pensa che venne commissionata all’inizio dei lavori. Ecco il testo: AUCTA EX S.C. MOLE – EXTRUCTAQUE PORTA – PROPUGNACOLO MUNITA – URBEM CINGEBANT MOENIBUS – QUACUMQUE ALLUITUR MARI. ANNO MDLIII
    PER DECRETO DEL SENATO, PROLUNGATO IL MOLO, COSTRUITA LA PORTA MUNITA DI DIFESE, [I CITTADINI] CINGEVANO DI MURA LA CITTA' LUNGO LA PARTE LAMBITA DAL MARE - ANNO 1553
    Il nome Siberia risale all’Ottocento e deriva da un errore di pronuncia; si chiamava, in origine, "Cibaria" (per secoli contenne le scorte di cibo), traslato poi in "Siberia".
    Interamente costruita in marmo di Finale, è l’unica ancora esistente, delle le porte costruite nel XVI-XVII sec, demolite per la costruzione dell’attuale via Gramsci. Oggi ha perduto il suo carattere di pubblico transito perché, con l’abbassamento del livello della banchina, si è trovata a 1,8 metri sul livello stradale.
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    Il fornice del lato interno, verso la città, non è orientato con gli assi viari già esistenti nella zona e presenta una facciata dorica affacciata su una piazzetta. L'interno racchiude un ampio vano con volta a botte di circa 250 mq, collegato alle mura di Malapaga attraverso un passaggio da cui si accede a cinque vani con volta a botte, adiacenti al manufatto sul lato a levante. Il nome Malapaga proviene da una torre vicino a porta Siberia, in cui venivano rinchiusi, fino al XVI sec. coloro che non pagavano i debiti. Una scala interna conduce al sotterraneo; mentre una seconda scala a chiocciola, in aderenza al muro, raggiunge la terrazza di copertura che ospitava i pezzi di artiglieria per la difesa del porto. Oggi sono entrambe non visitabili per ragioni di sicurezza.
    Chiusa al pubblico agli inizi del Novecento, Porta Siberia conosce un progressivo degrado, cui si tenta di porre rimedio dal 1976, con i primi interventi di restauro. La Porta è stata recuperata e riproposta nel suo antico splendore in occasione dei lavori, iniziati nel 1992, che hanno completamente rinnovato l'area in cui sorge. L’occasione sono state le celebrazioni colombiane (500 anni dalla scoperta dell’America). Nel 2001, grazie al progetto di Renzo Piano, realizzato dalla Società Porto Antico, Porta Siberia ospita il Museo Luzzati. E’ stato sviluppato un importante lavoro di recupero, attraverso il risanamento degli spazi interni, la chiusura delle grandi finestre e l'allestimento di strutture necessarie per le esposizioni.
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  17. embriaco

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  18. BLONDI2011

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    Buonanotte ;):D:D
     
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  19. olandiano

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  20. embriaco

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    20 giugno 2017
    Diabolik ed Eva Kant sono in crisi. Divorzio in vista per la coppia più noir dei fumetti

    Abbiamo letto in anteprima alcune tavole di "Punto di rottura", l'attesissimo albo estivo che Astorina porterà in edicola a luglio. I battibecchi e la tensione tra i due sono la grande novità: lui le dà della "cocciuta" e lei gli urla in faccia che non vuole più prendere ordini. Possibile che finisca così, in una manciata di pagine, la loro appassionante storia d’amore?

    di Francesca Amé
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    Se nemmeno nei fumetti esiste l’amore eterno, dove possiamo rifugiarci, disorientati come siamo dopo la rottura dei Brangelina?

    La notizia, come sempre accade per le coppie glamour di lungo corso e di ampia affinità, è di quelle che non ti aspetti: Diabolik ed Eva Kant sono in crisi. Anzi, sono al Punto di rottura, come recita il titolo dell’attesissimo (o sarebbe meglio dire temutissimo?) Speciale Grande Diabolik che Astorina porterà in edicola a luglio (dal 15 del mese, pp. 196, 4.90 euro).
    Separazione e divorzio in vista per la coppia più noir dei fumetti: sarà vero?
    Abbiamo letto in anteprima alcune tavole di questo albo estivo (guardatele nella gallery che vi proponiamo) e va detto che i battibecchi tra i due non mancano. Battute che divengono alterchi e poi arrivano le porte sbattute, le facce tirate, i silenzi, le incomprensioni. Lei, per la prima volta, parla di “priorità diverse” e non si dichiara più disposta a “prendere ordini” da lui. Possibile che finisca così, in una manciata di pagine, una delle storie d’amore in salsa noir meglio scritte nel fumetto italiano?
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    Mario Gomboli
    , direttore di Diabolik e storico sceneggiatore della serie, conosce la coppia da tanto, tanto tempo. Ne capta da sempre le particolari dinamiche: lui, scuro e pragmatico, lei, bionda, algida ma più romantica e intuitiva, e un legame professionale davvero sui generis. «Sono due personaggi complementari, una vera coppia alla pari, molto moderna. Cosa rara nella storia del fumetto», ci dice.
    Ha ragione: quando Angela e Luciana Giussani decisero – era il numero di marzo del lontano 1963 – che una donna sarebbe comparsa al fianco del loro ladro prediletto, non hanno voluto una sciacquetta come tante. Se Diabolik doveva rinunciare allo status del ladro charmant, bello, solo e maledetto, la sua compagna avrebbe dovuto tenergli testa.
    Ve la ricordate la storia di Eva? Ripassiamo.
    Abbiamo imparato a conoscerla pian piano. È la figlia illegittima di una povera ma bellissima donna di nome Caterina e di Lord Rodolfo Kant, ha una giovinezza difficile e turbolenta (fa mille lavori, compreso quello di una cantante di nightclub: del resto sa come usare il suo corpo flessuoso…) e arriva a sposare il cugino del padre – che poi muore in circostanze non molto chiare – e diventare la “Eva Kant” che conosciamo. Sofisticata, ammaliante, intelligente.
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    Diabolik non sa resistere al fascino di questa ragazza così misteriosa e trova quasi subito in lei la compagna ideale
    . Va detto che la bionda fanciulla dai felini occhi verdi sa dimostrare ben presto che la bellezza non è l’unico dei suoi talenti: salva più di una volta il compagno dalla prigione o dall’arresto, lo affianca nei crimini, anche in quelli più efferati, e numero dopo numero diventa co-protagonista della serie edita da Astorina (se siete appassionati del genere, la casa editrice per quest’estate propone oltre al numero speciale sul “divorzio” tra Eva e Diabolik, anche la Serie Swiisss, un numero di 16 pagine con giochi ed enigmistica e, soprattutto, con gli Oscar Ink Mondadori, il mitico numero 1 della serie, dal titolo “l re del Terrore: il Remake).
    Priva di superpoteri – Eva non è mica Wonderwoman! – riesce comunque a sfruttare il suo intuito e anche una civettuola componente di femminilità che spesso la aiuta nelle situazioni più dure.
    «Diabolik ed Eva hanno una vita di coppia quasi normale, ogni tanto affiora in qualche tavola: una cena con amici, una partita a tennis, momenti di passione, anche se non espliciti. Hanno interessi in comune, per il crimine ovvio, ma sono complementari nell’approccio alla vita. Non sono però dei bravi ragazzi e capita che ogni sette o otto anni la loro relazione sia messa in discussione. Non è così che succede nella vita reale?», continua Gombolo.
    Sì, vero, è così che succede, ma nei fumetti vorremmo che tutto filasse liscio, come nelle favole.
    Perché tra Diabolik ed Eva Kant le cose cominciano a scricchiolare? «Stanno vivendo un momento di crisi. Era già accaduto nel numero 100, quello sulla presunta morte di Eva Kant, in cui per la prima volta Diabolik si era sentito quasi impotente e qua e là c’erano state altre scaramucce: Eva lamenta la scarsa sensibilità del compagno, non vuole essere trattata come una ragazzina da accudire, ma come una donna che è compagna di vita e di affari nel crimine», dice Gombolo.
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    Siamo abituati a vederli sfrecciare, belli & complici, sulla loro Jaguar d’epoca: che cosa interrompe il loro sodalizio? «Possiamo dire che ci sono delle incomprensioni notevoli: come accade alle coppie di tutti i giorni, un piccolo litigio degenera in uno più grande. La storia personale rimane sullo sfondo e quando si aggroviglia con la trama noir, diventa per loro impossibile, o meglio troppo pericoloso, fare pace», continua Gombolo.
    Tiriamo almeno un sospiro di sollievo: Eva non è stata rimpiazzata (e del resto, dove trovi il rimpiazzo per una così, dopo crimini e misfatti per oltre cinquant’anni?) nel cuore di Diabolik. Si è “solo” incrinata la complicità tra i due.
    Arriveranno al tribunale? Arriveranno al divorzio? Coma divideranno il patrimonio comune accumulato in anni di furti? Senza spoilerare troppo, possiamo dire che l’avventura – noir e di cuore – si risolve (in un modo o nell’altro) nelle ultime 4 pagine.